Epicuro

Indice

La vita e gli scritti

Le notizie sulla vita di Epicuro sono scarse. Sappiamo che è nato sull’isola di Samo, lungo l’attuale costa turca, nel 341 a.C., da un colono ateniese che esercitava la professione di maestro di scuola, mentre sua madre sarebbe stata una sacerdotessa; in quanto figlio di un colono era cittadino ateniese. Secondo Diogene Laerzio ebbe una vocazione filosofica precoce, cominciando a filosofare già a quattordici anni. Le fonti riferiscono che fu discepolo del platonico Panfilo e del democriteo Nausifane, ma Epicuro rivendicò di essere stato autodidatta e di essere giunto da sé al suo sistema. Fondò la sua scuola solo a trentadue anni, prima a Mitilene e a Lampsaco e poi ad Atene.

Morì nel 270 a.C, all’età di settantasette anni, a causa di calcoli renali. Così Diogene Laerzio racconta la sua morte: “entrato in una vasca di bronzo riempita di acqua calda e chiesto vino schietto, lo bevve d’un fiato; e, dopo aver raccomandato agli amici di ricordare i suoi precetti, morì”. 1

Ancora Diogene Laerzio riferisce che Epicuro fu uno scrittore molto prolifico, essendo autore di oltre trecento rotoli, senza alcuna citazione di scritti altrui. Nelle sue Vite dei filosofi riporta tre suoi scritti, che restano fondamentali per la conoscenza del suo pensiero: tre lettere (a Erodoto, sulla fisica; a Pitocle, sui corpi celesti; a Meneceo, sulla felicità) e le Massime capitali. Un’altra raccolta di scritti epicurei, che solo in parte coincide con le Massime capitali, è contenuta nello Gnomologio Vaticano epicureo, un codice scoperto nel 1888 noto anche come Sentenze vaticane. Sono stati scoperti anche frammenti isolati di altre opere, ma sono soprattutto i numerosi riferimenti al pensiero di Epicuro negli scrittori successivi, come Cicerone, a consentirci una conoscenza non superficiale del suo pensiero.

Carattere di Epicuro e della sua scuola

La figura di Epicuro suscitò forti opposizioni fin dall’antichità. Diogene Laerzio comincia il suo lungo profilo riportando le calunnie che circolavano sul suo conto: tra l’altro è motivo di dileggio il fatto che andasse insieme a suo padre a fare il maestro per uno stipendio misero. Ma le accuse più consistenti riguardano il suo rapporto con le etère e il suo ricorso smodato ai piaceri, al punto tale da rigettare il cibo mangiato in eccesso. “Le condizioni del fisico erano pietose, tanto da non riuscire, per molti anni, ad alzarsi dalla portantina”, riferisce un altro autore.2

Diogene Laerzio difende Epicuro da queste accuse evidentemente motivate dalla opposizione al suo pensiero, offrendo il ritratto di un uomo benvoluto da tutti, che condusse una vita eccezionalmente frugale, mangiando per lo più pane cotto accompagnato da acqua, e godendo della compagnia e dell’amicizia dei suoi seguaci.

La scuola di Epicuro ad Atene era ospitata in un'abitazione di sua proprietà con un giardino; per questo veniva chiamata anche scuola del Giardino (kepos). Chi entrava nella scuola di Epicuro, alla quale erano ammessi anche donne e schiavi, si impegnava non solo a studiarne il pensiero, ma anche a seguirne lo stile di vita semplice e frugale. La sua scuola si presenta dunque come una comunità di persone che cercano insieme la felicità praticando la ricerca del piacere.

Di questa comunità Epicuro è il maestro indiscusso; i suoi scritti devono essere imparati, tramandati e diffusi. La convinzione di aver trovato un sistema di vita in grado di condurre verso la felicità diede dunque all’epicureismo un certo carattere missionario. La scuola ebbe in effetti una grande diffusione anche nel mondo romano, come dimostra il De Rerum Natura di Lucrezio e la scoperta di papiri con papiri con scritti epicurei in una villa di Ercolano travolta dall’eruzione del 79 d.C.

Obiettivi e tripartizione della filosofia di Epicuro

Il fine della filosofia di Epicuro è dunque la felicità. Essa può essere raggiunta seguendo un corretto stile di vita, che a sua volta è possibile solo se ci si libera da una rappresentazione distorta della realtà. In Epicuro dunque l’etica è in stretta connessione con la fisica, ossia con una teoria della natura e dell’universo. Un terzo aspetto dell’epicureismo è la canonica, che comprende la gnoseologia ed epistemologia, anch’essa finalizzata alla liberazione dagli errori e dunque alla conquista della felicità.

La canonica

Nella concezione platonica la sensazione costituisce il livello inferiore della conoscenza, il cui culmine è invece nella dialettica e nella visione intuitiva delle Idee. In aperta polemica con Platone, Epicuro considera invece la sensazione come la base di qualsiasi conoscenza. Non solo le sensazioni in generale sono una fonte valida di conoscenza, ma qualsiasi sensazione è sempre valida e nessuna sensazione può essere messa in discussione. Le sensazioni infatti non nascono da noi, ma sono il risultato dell’azione di un corpo esterno a noi; devono dunque avere un oggetto corrispondente, e dunque una base nella realtà.

Poiché, come presto vedremo, la realtà è fatta di atomi, la conoscenza avviene perché un flusso di atomi che proviene da un corpo esterno a noi entra in contatto con i nostri sensi. Questi flussi di atomi costituiscono dei simulacri (eidola), ossia immagini in miniatura dell’oggetto da cui provengono; e questi simulacri penetrano in noi attraverso i sensi e ci consentono la conoscenza dell’oggetto. Poiché nasce dal contatto diretto, la sensazione è dunque sempre fonte di conoscenza certa: se vediamo un oggetto nero, possiamo essere certi che sia effettivamente nero. Epicuro sa bene che in qualche caso le sensazioni sono confuse, tali da sembrare illusorie. Quello che accade in questi casi è semplicemente che i simulacri sono alterati da diverse circostanze, e come tali giungono ai nostri sensi. Una sensazione è però sempre vera nella misura in cui si limita a cogliere una realtà esterna così come essa si presenta.

I simulacri lasciano dentro di noi una sorta di immagine interna dell’oggetto, che Epicuro chiama prolessi, ossia anticipazione. Quando percepiamo un albero, siamo a contatto con i simulacri che provengono da esso; ma abbiamo anche la possibilità di evocare l’immagine mentale dell’albero. Questa immagine è una sorta di impronta interna lasciata dalle diverse sensazioni e sono strettamente legate ad esse. La presenza di una simile immagine interiore ci consente poi di riconoscere immediatamente l’albero quando ci si presenta; in questo senso Epicuro parla di anticipazione. Queste prolessi sono poi associate a dei nomi (il nome albero, ad esempio, associato all’immagine mentale dell’albero), che per Epicuro non sono convenzionali, ma hanno un’origine naturale, connessa alle emozioni suscitata dalle esperienze sensoriali.

Sensazioni e prolessi sono le due prime basi della conoscenza. La terza consiste in un tipo particolare di sensazioni: quelle legate al piacere e al dolore. Esse sono fondamentali per la scelta, perché ci consentono di individuare ciò che è bene e ciò che è male.

Per quanto le sensazioni siano la base della conoscenza, non possiamo limitarci ad esse. Tendiamo a fare ragionamenti ed a formulare opinioni, ed è con esse che nasce la possibilità dell’errore. Bisogna comprendere allora quali opinioni sono valide e quali no. Per Epicuro, sono valide quelle opinioni che sono confermate dall’esperienza dei sensi e non sono smentite dall’esperienza dei sensi; al contrario sono da ritenere false quelle opinioni che sono smentite dall’esperienza sensoriale o semplicemente non sono confermate da essa.

La fisica

Nella Lettera a Erodoto Epicuro presenta la sua concezione della natura partendo da due affermazioni che gli sembrano evidenti: nulla nasce dal nulla e nulla finisce nel nulla. Se qualcosa potesse nascere dal nulla, vedremmo ovunque nascere cose nuove, senza bisogno di semi; e se le cose potessero finire nel nulla il mondo si sarebbe già annientato da tempo.

I sensi ci mostrano l’esistenza dei corpi. Per le ragioni appena viste non possiamo ritenere che, dopo la loro corruzione, i corpi finiscano del tutto nel nulla. Bisogna pensare che essi siano composti da altri corpi più piccoli, invisibili, che permangono. La realtà è fatta dunque di atomi che si muovono nel vuoto; e gli atomi sono indivisibili (altrimenti si procederebbe all’infinito) e immutabili, oltre che infinitamente vari tra di loro per la forma e l’aspetto, il peso e la grandezza, anche se c’è un limite a quest’ultima, come dimostra il fatto che non sono visibili. La realtà che vediamo è il risultato del vario combinarsi degli atomi, del loro aggregarsi e scontrarsi, che dà origine ai singoli corpi. L’universo è senza nascita e senza fine, non ha alcun limite e formato da mondi infiniti, alcuni dei quali probabilmente simili al nostro.

Gli atomi si muovono nel vuoto alla medesima velocità, senza differenze legate al peso. Ma Epicuro ha bisogno di spiegare in quale modo essi possano incontrarsi tra di loro, dando origine ai corpi composti, e per questo introduce la teoria della declinazione (clinamen) degli atomi. Gli atomi hanno dei piccolissimi scarti nei loro movimenti, che consentono loro di scontrarsi e aggregarsi con gli altri atomi. Questa concezione non è introdotta solo al fine di spiegare la nascita dei corpi composti, ma anche per dar ragione delle scelte morali. Se tutto l’universo fosse fatto solo di corpi che si muovono secondo traiettorie rigidamente fisse, per lo stesso essere umano non sarebbe possibile alcuna libertà. Per Epicuro infatti l’essere umano non ha alcuna sostanza spirituale; la nostra anima è composta di atomi dispersi in tutto il corpo – con la differenza di alcuni atomi più sottili che compongono la parte razionale – e non sopravvive al corpo.

Se nell’universo c’è una certa libertà dovuta al clinamen, non esiste però alcuna finalità. Il mondo non è stato creato da alcuna Intelligenza divina e non persegue nessuno scopo particolare. Epicuro non nega l’esistenza degli Dei. Essi esistono come esseri perfetti e felici, che vivono negli intermundia, ossia nel vuoto esistente tra i diversi mondi; tuttavia, proprio perché felici, sono assolutamente indifferenti alle vicende umane, non intervengono in esse né si preoccupano della sorte dei singoli o dei popoli.

L’etica

L’uomo è dunque un essere naturale come gli altri, composto di atomi, ed immerso in un mondo che conosce attraverso le sensazioni. L’etica di Epicuro consiste nel cercare di comprendere come vivere bene in un simile universo materiale. La guida infallibile è il piacere. Ad esso ognuno di noi tende in modo assolutamente naturale, così come cerca di evitare la sofferenza. Piuttosto che cercare di alleviare le sofferenze pregando gli Dei, bisogna comprendere come vivere in modo tale da massimizzare il piacere.

Per Epicuro il piacere ha il vantaggio di essere sempre facilmente a disposizione, a condizione che si sappia bene quale piacere scegliere. La distinzione tra tipi di piaceri è fondamentale. Esistono piaceri che sono assolutamente naturali e necessari, perché legati al nostro corpo e alla nostra sopravvivenza; altri che sono naturali, ma non necessari; ed altri ancora che non sono né naturali né necessari. I primi vanno sempre ricercati, i secondi vanno ricercati con moderazione mentre i terzi vanno evitati perché causa di sofferenza. Mangiare è un piacere naturale e necessario, ma mangiare cibi raffinati non è necessario. I piaceri legati alla fama, agli onori, alla ricchezza e al lusso non sono né naturali né necessari, e dunque bisogna farne a meno.

Lo stile di vita corrispondente a questi principi è estremamente semplice e frugale. Epicuro raccomanda anche di evitare la vita politica e di vivere nascosti, lontani dagli affari pubblici e dalla contesa politica. Uno stile di vita simile consentirà di raggiungere una costante assenza di dolore sia nell’anima (atarassia) che nel corpo (aponia). Questa assenza costante di dolore, più che l’esperienza continua del piacere, è per Epicuro il limite massimo del piacere (piacere catastematico).

Resta il problema della morte. Per gli esseri umani il pensiero stesso della morte è fonte di una sofferenza che nessun piacere presente sembra in grado di annullare. Ma per Epicuro si tratta solo di un'opinione errata. La paura della morte è priva di fondamento. Dal momento che con essa cessa qualsiasi sensazione e coscienza, la morte non è propriamente un’esperienza. “La morte non è nulla per noi: infatti, ciò che si è dissolto non ha sensazioni; e ciò che non ha sensazioni non è nulla per noi”, si legge nelle Massime capitali.3

La rinuncia alla vita politica non implica il rifiuto di qualsiasi rapporto con gli altri. Epicuro propone una via sostanzialmente ascetica, ma non eremitica. Massima importanza ha invece l’amicizia, che veniva praticata nello stesso Giardino come legame tra persone che cercano una vita serena, piacevole e pacifica. Poiché come abbiamo visto nel Giardino erano ammessi anche donne e schiavi, questa amicizia trascendeva le differenze di genere e di classe.

Bibliografia essenziale

Testi

Epicurea, nella raccolta di Hermann Usener, a cura di Ilaria Ramelli, Bompiani, Milano 2007.
Epicuro, Opere, Frammenti, Testimonianze, a cura di E. Bignone, Laterza, Roma-Bari 2003.
Epicuro, Scritti morali, BUR, Milano 2021.
Epicuro, Lettere, BUR, Milano 1994.

Studi

André-Jean Festugière, Epicuro e i suoi dèi, Castelvecchi, Roma 2020.
Phillip Mitsis, La libertà, il piacere, la morte. Studi sull'epicureismo e la sua influenza, Carocci, Roma 2019.
Domenico Pesce, Introduzione a Epicuro, Laterza, Bari 1981.
John Sellars, Sette brevi lezioni sull'epicureismo. Epicuro e l'arte della felicità, Einaudi, Torino 2022.

Testi

Filosofia e felicità
 La scelta dei piaceri
La morte non ci riguarda

Focus

Lo slancio dell'animo
Epicuro e l'ateismo
Il paradosso di Epicuro

1 Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2006, Libro X, 15-16, p. 1175.
2 Ivi, Libro X, 7, p. 1167.
3 Ivi, Libro X, 139.II, p. 1293.

Testo di Antonio Vigilante. Licenza CC BY-SA 4.0 International. Immagine: ricostruzione di Klaus Fittschen di una statua di Epicuro. Università di Göttingen. Licenza CC BY 3.0.