Un suicidio filosofico?

[Michelstaedter]

 

Pochi giorni dopo la morte di Michelstaedter Giovanni Papini, uno dei maggiori scrittori e intellettuali del tempo, pubblica sul “Resto del Carlino” un articolo intitolato Un suicidio metafisico, poi ripreso nel volume 24 cervelli. La tesi di laurea del filosofo non era ancora stata pubblicata. Papini dichiara di non averla potuta leggere, pur comunicando che è in fase di pubblicazione, e di averne soltanto sentito parlare da qualcuno che ha avuto l’occasione di leggerla. Ne fa però una sintesi così precisa, da far dubitare della sua affermazione. E avanza un ipotesi interpretativa riguardo al suo suicidio che ha avuto una importante influenza sulla lettura del suo pensiero. Scrive Papini:

Egli, al pari di pochissimi e rarissimi uomini che lo hanno preceduto, s'è ucciso per accettare fino all'ultimo, onestamente e virilmente, le conseguenze delle sue idee s'è ucciso per ragioni metafisiche; s'è ucciso perchè ha voluto affermare e possedere, nello stesso momento-vigilia della morte, il meglio della sua vita. […]

La vita è come un peso che sempre e sempre cade giù finché non trova un ostacolo e anche quando s'arresta è sempre pronto a ricadere in eterno, appena l'ostacolo sia rimosso: per questo, dice Michelstaedter, si può affermare che il peso non può esser persuaso. Ma l'uomo può essere e dev'essere persuaso. L'uomo può rinunziare, l'uomo può rifiutare di cadere e di vivere sempre. E l'uomo può comprendere, per la divina legge de' contrari, che il tutto è nulla, il sì nel no, e la vita nella morte. E può rinunziare spontaneamente e volontaria mente alla vita e in quel momento eterno che precede la fine egli possiede, per la prima e per l'ultima volta, la vita, la vera vita e vive davvero appunto perchè sta per morire – perchè tante cose son già morte in lui. (24 cervelli, pp. 172 e 175)

Il suicidio dunque non sarebbe in Michelstaedter l’esito di una condizione di vita difficile o di stati d’animo dolorosi, ma il completamento per così dire necessario del suo pensiero. Se il persuaso è colui che si è liberato del tutto dalla tendenza a continuare, allora pienamente persuaso, secondo questa interpretazione, è colui che volontariamente elimina il futuro, ponendo fine alla sua vita. In una dialettica di positivo e negativo, questa negazione è al tempo stesso la massima affermazione di sé; la morte diventa manifestazione piena della vita.

Vi sono tracce di questa lettura di Papini anche in Aldo Capitini, l’unico filosofo che si ponga in qualche modo come successore e continuatore di Michelstaedter, sviluppandone il pensiero in una direzione etico-religiosa. Nei suoi Elementi di un’esperienza religiosa del 1937 Capitini scrive:

Carlo Michelstaedter, alla fine del primo decennio di questo secolo, dopo aver sentito come forse nessun altro la romantica riduzione di tutto a se stesso, si uccise per possedersi, per consistere, per sottrarsi ad ogni dominio e realizzarsi perfettamente. (Scritti filosofici e religiosi, p. 13)

Quello che non convince in questa interpretazione, che riduce il pensiero di Michelstaedter a una sorta di nichilismo esistenzialista, è il fatto che, se essa è vera, il suicidio era evidentemente non l’esito di un momento di disperazione, ma un gesto meditato e lungo. Ma perché, allora, non scriverlo apertamente nella sua tesi di laurea? Se fosse vera l’interpretazione di Papini, Michelstaedter non avrebbe mai avuto realmente intenzione di laurearsi. Consegnando la sua tesi di laurea, avrebbe dunque consegnato apertamente il suo testamento filosofico e umano. Ma nell’opera non si trova nulla che possa lasciar intendere a un simile esito.

È possibile piuttosto interpretare il suicidio come conseguenza della difficoltà del filosofo di seguire realmente il proprio stesso pensiero. Pur vedendo con chiarezza la via della persuasione, il giovane Michelstaedter avrebbe avvertito in sé una energia insufficiente per seguirla, sentendosi imprigionato nella condizione inautentica della rettorica, ossia nella sua condizione borghese. Contro la quale il suicidio sarebbe stato un gesto di protesta disperata.

Riferimenti bibliografici

Aldo Capitini, Elementi di un’esperienza religiosa, in Id., Scritti filosofici e religiosi, Protagon, Perugia 1994.

Giovanni Papini, 24 cervelli, Studio Editoriale Lombardo, Milano 1917.

 

Testo di Antonio Vigilante. Licenza CC BY-SA 4.0 International.