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La vita

Le notizie sulla vita di Margherita Porete sono scarse, mentre possediamo un resoconto dettagliato sul suo processo e la sua condanna a morte. Fu arsa sul rogo il 1 giugno 1310, in place de Grève a Parigi, alla fine di un processo durato due anni e causato dalla diffusione di un libro considerato eretico. I documenti la definiscono beghina, termine che indicava le appartenenti a un movimento nato delle Fiandre nel XII secolo: donne non sposate o vedove che, pur non avendo preso i voti, vivevano una vita di preghiera e di dedizione ai poveri in comunità simili a monasteri, anche se prive di una organizzazione gerarchica e in rapporto spesso conflittuale con la Chiesa. Margherita Porete aveva già subito un processo a Valenciennes, al termine del quale il suo libro era stato bruciato pubblicamente e le era stato vietato di divulgarlo ulteriormente. Dagli atti del processo sappiamo che era originaria della marca dello Hainaut, attualmente in Belgio; probabilmente nacque nella capitale, Valencienne. Si ipotizza che sia nata tra il 1250 e il 1260; era senz’altro di origini non umili, dal momento che la lettura della sua opera dimostra il possesso di una buona cultura letteraria e teologica.

La vita annichilita

L’opera per la quale Margherita Potere fu condannata, Lo specchio delle anime semplici, è stata attribuita a lei solo negli anni Quaranta grazie alle ricerche della studiosa Romana Guarnieri. Il testo, scritto probabilmente in piccardo, ci è giunto in medio francese, una lingua che era già stata usata nella letteratura cortese. Il titolo, Specchio, era comune all’epoca per indicare un trattato su un campo specifico del sapere.

Il libro è strutturato come un dialogo tra l’Anima, l’Amore e la Ragione, con l’intervento sporadico di altre voci, come la Fede, la Carità o lo stesso Autore (Acteur, nel testo francese). Il tema di discussione è uno stato di perfezione spirituale che va al di là dell’esperienza religiosa comune. Fin dalle prime righe Porete chiarisce che si tratta di un testo difficile da comprendere se non si possiede umiltà; i teologi e i chierici non riusciranno a comprenderlo se la loro Ragione non cederà all’Amore. Si tratta dunque di un confronto tra la la via religiosa dominante e un’esperienza religiosa alternativa, che riflette naturalmente la diversa realtà del clero regolare e della libera spiritualità delle beghine.

Al centro del libro è la descrizione di una particolare condizione spirituale, che la mistica francese chiama “pace di carità nella vita annichilita” 1 La prima caratteristica di questa condizione è la distanza dalle virtù, che è una delle tesi per le quali Porete fu condannata. Una volta giunta a questo livello di pace e annullamento, l’anima si distacca da tutti i valori comuni, come l’onore e la ricchezza, ma anche dalla concezione religiosa dei meriti e delle colpe, del bene e del male, delle buone e delle cattive opere. Come commenta Marco Vannini, si tratta di superare una opposizione che, in quanto tale, “pone nella dualità, nell’alienazione, nella non-libertà”; se la virtù è un valore, diventa fonte di attaccamento, e questo stesso attaccamento genera schiavitù spirituale.2

D’altra parte, per compiere opere buone occorre che vi sia una volontà che desidera il bene. Ma le anime che hanno raggiunto questo stato non possiedono più alcuna volontà. Questo non vuol dire che non compiano i propri doveri. Un’anima simile, scrive Porete, “fa quel che fa per abitudine a buone costumanze, o per comandamento di Santa Chiesa, senza nessun desiderio, poiché è morta la volontà che le dava desideri”3 Essendo prive di volontà e desiderio e volontà, simili anime sono indifferenti anche alla salvezza. Se si chiedesse loro se desiderano essere in paradiso, direbbero di no, così come non saprebbe dire se sono “convertite o pervertite”4.

Ad una simile anima non è possibile togliere nulla, perché nulla desidera. Vivendo interamente in Dio e non avendo attaccamento verso nulla, compresa la propria stessa vita, non le si toglie nulla anche se le si toglie la vita. Allo stesso modo non le si può dare niente, possedendo già tutto nel Dio che ama.

Il distacco e la Natura

Una delle tesi per le quali Porete è stata condannata è quella che “Quest’anima dà alla Natura quello che le domanda”.5 Nell’ottica cristiana tutti gli impulsi naturali e corporei, soprattutto quelli sessuali, devono essere controllati e sottomessi alla esigenze spirituali. Con questa tesi invece sembrava che Porete volesse affermare la possibilità di abbandonarsi liberamente a tutti gli impulsi naturali, compreso quello sessuale. Simili anime, scrive, “usano tutte le cose fatte e create di cui la Natura ha bisogno, con una tale pace di cuore, come fanno della terra sulla quale camminano”6. È un semplice corollario del trascendimento della virtù: se non c’è attaccamento alla virtù, non conta nemmeno praticare l’ascesi e la negazione del corpo, che è una pratica virtuosa secondo la visione religiosa corrente. Non avendo volontà né desideri, l’anima liberata vive con distacco anche le pratiche corporee, senza esserne toccata.

La Chiesa piccola e la Chiesa grande

Come è evidente, l’esperienza religiosa così descritta si allontana significativamente da quella cristiana corrente. Le anime che hanno raggiunto questo livello di pace e di distacco per la mistica francese costituiscono quella che chiama Santa Chiesa la Grande, che contrappone a Santa Chiesa la Piccola. Quest’ultima è la Chiesa comunemente intesa, con le sue gerarchie, i rituali e i dogmi. Essa è dominata dalla Ragione, che nello Specchio è un principio di inerzia e ottusità spirituale: sono le domande continue della Ragione, afferma l’Anima, che rendono il libro così lungo, “per le risposte di cui avete bisogno, per voi e per quelli che avete nutrito, e che vanno col passo della lumaca”.7La Chiesa Grande è l’insieme di coloro che vivono nella perfezione di una vita semplice e pienamente spirituale. Essa è superiore alla Chiesa come istituzione, ma è una spiritualità che non si traduce in alcuna opposizione o tentativo di subordinazione, poiché tali anime sono libere da qualsiasi desiderio di potere.

Dio come Lontanovicino

Margherita Porete chiama Dio con un termine singolare: Lontanovicino (Loingprés). Per comprenderne il senso occorre considerare una storia raccontata all’inizio del libro. Una damigella, figlia del re, si innamorò di re Alessandro sentendone parlare. Non potendolo incontrare, e struggendosi per la sua distanza, chiese che gli venisse fatto un ritratto, in modo da poterlo tenere vicino.8 A chi ha compiuto il percorso spirituale fino a rinunciare interamente alla propria volontà, la distanza da Dio appare illusoria. Scrive Porete: “nessuno esiste tranne Dio; e per questo io non trovo altro che Dio, da qualunque parte mi volga; poiché non c’è niente all’infuori di lui, a dire il vero”.9È come se la damigella scoprisse che il luogo in cui vive non è altro che il regno di Alessandro, in cui è possibile percepire ovunque la sua presenza. Con questa affermazione Porete sembra tuttavia giungere a una forma di panteismo, inaccettabile per dal punto di vista cristiano.

Bibliografia minima

Opere

M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994.

Studi

Maria Alessandra Soleti, Margherita Porete: un processo ancora aperto. Una voce mistica nell’Europa tardomedievale, Il Poligrafo, Padova 2011.

Tommasina Soraci, Margherita Porete (1250 c. - 1310). Un libro che conduce al rogo, Edizioni Era Nuova, Perugia 2012.

Note

 

1 M. Porete, Lo specchio delle anime semplici, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, capitolo 5, p. 139.
2 Ivi, capitolo 6, p. 143, nota.
3 Ivi, capitolo 7, p. 147.
4 Ibidem.
5 Ivi, cap. 17, p. 187.
6 Ivi, cap. 17. p. 189.
7 Ivi, cap. 53, p. 271.
8 Ivi, cap. 1, p. 133.
9 Ivi, cap. 70, p. 307.
 
Testo di Antonio Vigilante. Licenza CC BY-SA 4.0 International. Nell'immagine: Statua commemorativa delle beghine, Begijnhof, Amsterdam. Foto di , adattata. Licenza CC BY-SA 2.0.