[Michelstadter]

 

Non riuscendo a permanere nell’oscurità delle cose, dalla quale potrebbe cominciare la via autentica della persuasione, gli uomini si costruiscono un sistema di conoscenza con il quale il mondo torna ad essere rassicurante e l’io si fa nuovamente stabile.

Come il bambino nell’oscurità grida per farsi un segno della propria persona, che nell’infinita paura si sente mancare; così gli uomini, che nella solitudine del loro animo vuoto si sentono mancare, s’affermano inadeguatamente fingendosi il segno della persona che non hanno, “il sapere” come già in loro mano. – Non sentono più la voce delle cose che dice loro “tu sei”, e nell’oscurità non hanno il coraggio di permanere, ma cerca ognuno la mano del compagno e dice: “io sono, tu sei, noi siamo”, perché l’altro gli faccia da specchio e gli dica: “tu sei, io sono, noi siamo”; ed insieme ripetono: “noi siamo, noi siamo, perché sappiamo, perché possiamo dirci le parole del sapere, della conoscenza libera e assoluta”. – Così si stordiscono l’un l’altro.1

Così poiché niente hanno, e niente possono dare, s’adagiano in parole che fingano la comunicazione: poiché non possono fare ognuno che il suo mondo sia il mondo degli altri, fingono parole che contengano il mondo assoluto, e di parole nutrono la loro noia, di parole si fanno un empiastro al dolore; con parole significano quanto non sanno e di cui hanno bisogno per lenire il dolore – o rendersi insensibili al dolore: ogni parola contiene il mistero – e in queste s’affidano, di parole essi tramano così un nuovo velo tacitamente convenuto all’oscurità: καλλωπίσματα ὄρφνης:2 “Dio m’aiuti” – perché io non ho il coraggio d’aiutarmi da me. –

 

Hanno bisogno del “sapere” e il sapere è costituito. Il “sapere” è per sé stesso scopo della vita, ci sono le parti del sapere, e la via al sapere, uomini che lo cercano, uomini che lo danno, si compra, si vende, con tanto, in tanto tempo, con tanta fatica. Così fiorisce la rettorica accanto alla vita. Gli uomini si mettono in posizione conoscitiva e fanno il sapere. – […]

“La curiosità che chiede il nome” – diceva un elegante filosofo – “è il primo segno della virtù filosofica”. Veramente!come egli definiva bene la “filosofia” – più che non credesse.

– In fatti il primo segno che uno dà della sua rinuncia a impossessarsi delle cose – per “amor del sapere”, è l’accontentarsi al segno convenzionale che nasconde l’oscurità per ognuno in vario modo inafferrabile; in questo segno per questa convenzione presumendo d’avere il sapere, ogni volta un piccolo brandello di sapere che, congiunto poi e subordinato, per vario e mirabile concatenarsi della curiosità filosofica, ad altri brandelli, formi un sistema di nomi e gli costituisca l’inviolabile possesso dell’assoluta conoscenza.

In questo il suo ben macchinato cervello è libero e assoluto padrone, che può scendere dai più generali ed astratti ai più particolari e vicini, e con non minor agevolezza – da questi a quelli salire, che può a qualunque richiesta su una cosa dare il nome e a questo nome o colla salita o colla discesa per la via dei simili o della definizione fingere un vasto raggio di luce.

Il sistema dei nomi tappezza di specchi la stanza della miseria individuale, pei quali mille volte e sempre avanti infinitamente la stessa luce delle stesse cose in infiniti modi è riflessa. Se la fame resti insaziata, se il tempo distolga ogni bene da ogni presente, se il dolore si continui muto inafferrabile, se fuori l’oscurità vieppiù stringa – che importa? noi riflettiamo: noi siamo nella libertà del pensiero quando le sue forme applichiamo alle cose: cogitamus ergo sumus. Il resto sono inezie della vita individuale: pel pensiero non c’è deficienza, non c’è oscurità: nel sistema della conoscenza vive la libertà assoluta dello spirito... Oh vanità, cinta di querce!

Note

1 Per la stessa inadeguata affermazione gli uomini hanno piacere a cantare o recitare cose degli altri. [Nota di Michelstadter.]

2 “Ornamenti dell’oscurità” [N.d.C.]

Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Formiggini, Genova 1913, pp. 66-69. Pubblico dominio.