Come diventare una persona migliore? L'etica della virtù

Hans Schaufelein: L'uomo virtuoso su un carro in viaggio verso il paradiso. Dal volume: Hymmelwagen Auff Dem, Wer Wol Lebt (1517). Licenza CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication.

Questo capitolo esplora una varietà di approcci alla questione della virtù morale e di cosa significhi essere una persona buona. Esamina quattro sistemi etici che ruotano attorno al concetto di virtù: l'etica della virtù di Aristotele, la versione cristiana di Tommaso d'Aquino dell'etica della virtù aristotelica, l'etica della virtù buddhista e l'etica della virtù taoista e confuciana. Ciascuno sarà presentato come un modo diverso di comprendere cosa potrebbe significare vivere da persona buona. Per Aristotele, ciò significa cercare di ottenere la via di mezzo tra gli estremi nel contesto di una comunità politica ben ordinata. Per Tommaso d'Aquino va inteso nel contesto del cristianesimo e del diritto naturale. Per il buddhismo, la virtù va intesa nei termini di una vita orientata verso l'ottuplice sentiero che porta alla fine della sofferenza. Per la filosofia cinese, sia daoista che confuciana, virtù significa essere in armonia con il Dao cosmico.

Cos'è l'etica della virtù?

Nelle filosofie che sostengono l'etica della virtù, l'enfasi è sullo sviluppo di se stessi come una persona buona piuttosto che sul seguire le regole. Questo non vuol dire che seguire le regole non sia importante, ma si ritiene che essere etici significhi qualcosa di più che seguire semplicemente delle regole. Ad esempio, se c'è l'opportunità di fare una donazione a un ente di beneficenza, i deontologi (vedi capitolo 6) valuterebbero se esiste una regola etica che impone loro di donare, gli utilitaristi (vedi capitolo 5) valuterebbero se una donazione produrrebbe conseguenze migliori rispetto alla non donazione, chi segue l'etica della virtù valuterebbe se donare sia il tipo di azione che una persona virtuosa farebbe. Un altro esempio potrebbe essere decidere se mentire o dire la verità. Piuttosto che concentrarsi su regole o conseguenze, gli esperti di etica della virtù si chiedono che tipo di persona vogliono essere: onesta o disonesta? Gli esperti di etica della virtù attribuiscono maggiore importanza all'essere una persona onesta, degna di fiducia, generosa e ad altre virtù che portano a una buona vita e attribuiscono meno importanza al proprio dovere o agli obblighi etici. Un tema comune tra gli esperti di etica della virtù è l'importanza di coltivare valori etici al fine di aumentare la felicità umana. Le aziende oggi incorporano sempre più l'etica della virtù nella loro cultura lavorativa, spesso dotandosi di una "dichiarazione di valori" che guida le loro operazioni.

Poiché la giusta azione etica dipende dalle particolarità delle singole persone e dalle loro situazioni particolari, l'etica della virtù collega la bontà alla saggezza perché la virtù è sapere come prendere decisioni etiche piuttosto che conoscere un elenco di regole etiche generali che non è possibile adattare a ogni circostanza . Chi segue l'etica della virtù tende a rifiutare il punto di vista secondo cui la teoria etica dovrebbe fornire una serie di comandi che dettano ciò che dovremmo fare in tutte le occasioni. Sostiene invece la coltivazione della saggezza e del carattere che le persone possono usare per interiorizzare i principi etici di base partendo dai quali possono determinare il corso etico dell'azione in situazioni particolari. Chi segue l'etica della virtù tende a vedere i principi etici come inerenti al mondo e tali che è possibile scopribili attraverso la riflessione razionale e una vita disciplinata. Le diverse forme di etica della virtù possono o meno concentrarsi su Dio come fonte ultima dei principi etici. Ciò che unisce le varie forme di etica della virtù è l'attenzione all'educazione morale per coltivare la saggezza morale, il discernimento e il carattere nella convinzione che la virtù etica si manifesterà nelle azioni etiche.

Aristotele: l'eccellenza e la prosperità

L'antico filosofo greco Aristotele (384-322 aC) credeva che per capire qualcosa sia necessario comprenderne la natura e la funzione propria (vedi capitolo 2). Credeva anche che tutto avesse un fine, o un obiettivo, verso il quale si muove naturalmente. Ad esempio, un seme diventa un albero perché lo scopo e la funzione del seme è di svilupparsi in un albero. Gli oggetti soddisfano il loro scopo non per desiderio cosciente, ma perché è nella loro natura svolgere le loro funzioni. Aristotele credeva che il nostro scopo fosse quello di perseguire il nostro fine umano, l'eudaimonia, che è meglio intesa come prosperare o vivere bene. Eudaimonia non è un piacere momentaneo ma un appagamento duraturo, non solo una buona giornata ma una bella vita. Aristotele diceva che una rondine non fa primavera, e così anche un giorno non rende beati e felici. È nella natura umana muoversi verso l'eudaimonia e questo è lo scopo, la funzione o l'obiettivo finale (telos) di tutta l'attività umana. Lavoriamo per fare soldi, per fare una casa, e ci sacrifichiamo per migliorare il nostro futuro con l'obiettivo finale di vivere bene.

Prosperità umana significa agire in modi che fanno sì che la nostra natura umana essenziale raggiunga la sua forma più eccellente di espressione. Aristotele riteneva che una buona vita, una vita di duratura soddisfazione possa essere ottenuta solo con la virtù, una vita vissuta sia con phrónesis, o "saggezza pratica", che con aretē, o "eccellenza". Aristotele definisce il bene umano come l'attività dell'anima secondo virtù, e scrive nell'Etica Nicomachea che

se funzione propria dell’uomo è un’attività dell’anima secondo ragione o comunque non priva di ragione, e se diciamo che nel genere sia la funzione di un uomo sia quella di un uomo virtuoso è la stessa [...]; il bene umano consiste in un’attività dell’anima secondo virtù e — se parecchie sono le virtù — secondo quella che è la migliore e più completa. Inoltre questo vale per una vita portata al suo termine. Infatti una sola rondine non fa primavera, e neppure un solo giorno: così neanche un giorno solo ed un tempo breve (rendono l’uomo) beato e felice. (1.6; Aristotele 1996, 203-4)

La richiesta etica è quella di sviluppare il nostro carattere per raggiungere l'eccellenza della saggezza, perché da quell'eccellenza scaturiranno buone azioni che condurranno a una buona vita. Le azioni virtuose vengono da una persona virtuosa; pertanto, è saggio concentrarsi su come essere una persona virtuosa.

Per Aristotele l'etica è una scienza con principi razionali oggettivi che possono essere scoperti e compresi attraverso la ragione. Se una determinata linea di condotta sia buona o meno o se una persona sia buona o meno sono cose che possono essere comprese oggettivamente. La coltivazione della virtù deve essere accompagnata da quella della razionalità. Aristotele vedeva nell'anima umana tre componenti: la parte nutritiva, responsabile dell'assunzione del nutrimento; la parte sensibile e appetitiva, responsabile della percezione e delle risposte all'ambiente, compresi i desideri e gli appetiti che motivano le azioni; e la parte razionale, responsabile dell'intelletto pratico e produttivo. Tutte e tre le componenti sono essenziali per un essere umano, ma sono strutturate in modo gerarchico, con le facoltà razionali al vertice; esse possono e devono controllare e guidare gli appetiti verso azioni produttive ed etiche. Aristotele ritiene che la parte desiderante ed emotiva dell'anima partecipa della ragione nella misura in cui obbedisce ad essa e ne accetta la guida. La persona di buona virtù ha coltivato un'anima stabile che non è influenzata da appetiti o desideri, ma è governata dalla ragione. Essere etici, quindi, è un'abilità che si sviluppa. Proprio come è possibile diventare bravi in matematica o suonare uno strumento musicale attraverso la pratica, è possibile diventare una persona virtuosa attraverso la pratica. Quando si è raggiunto un certo livello di abilità in matematica o in musica, non si ha più bisogno di un insegnante che ci guidi e si può capire rapidamente cosa fare. Lo stesso vale nella concezione aristotelica del processo decisionale etico: diventa un'abitudine radicata.

Le virtù dianoetiche
Esistono in Aristotele, oltre le virtù etiche, delle virtù che riguardano l’anima razionale pura, senza alcun influsso dei desideri. Esse sono cinque. Tre sono rivolte a ciò che è necessario e immutabile: l’intelletto, con il quale l’anima coglie i princìpi primi delle scienze, la scienza, che procede dimostrativamente da questi princìpi primi, e la sapienza, che è sintesi delle prime due e consente di cogliere sia i princìpi primi che ciò che da essi deriva. Altre due virtù sono volte al mondo del divenire, delle cose che possono essere o non essere. Sono due: l’arte e la saggezza. La prima è la virtù volta alla produzione, mentre la saggezza è la capacità di deliberare riguardo a ciò che è necessario per vivere bene. Nella prospettiva di Aristotele, la possibilità di raggiungere la felicità è legata all’esercizio della ragione teoretica, che è ciò che l’essere umano ha di più proprio. L’attività umana più alta è dunque la contemplazione di ciò che è eterno, resa possibile dalle prime tre virtù dianoetiche.

Come può l'essere umano razionale arrivare a comprendere quali sono le azioni etiche appropriate? La risposta di Aristotele è la sua dottrina del giusto mezzo, o dell'azione equilibrata:

La virtù pertanto è una disposizione ad agire per libera scelta, risiedente in una medietà rapportata a noi, determinata nata dalla ragione e come la determinerebbe il saggio. (Etica Nicomachea 2.6; Aristotele 1996, 232)

Scorgiamo qui l'enfasi di Aristotele su un carattere virtuoso che ci consente di fare una scelta etica razionale. Ci sono due aspetti importanti di questa scelta. Il primo è che essa risiede nell’individuare il giusto mezzo nelle singole circostanze, il secondo è che per farlo occorre possedere la ragione pratica. Il corso etico dell'azione è relativo alle nostre circostanze particolari, il che significa che non esiste una regola che si adatti a tutte le situazioni, e tuttavia esso è oggettivamente vero in quanto qualsiasi persona razionale che consideri la situazione sarà in grado di comprendere il corretto comportamento etico.

In sostanza, Aristotele si riferisce a qualcosa a metà strada tra due estremi. L'atto virtuoso è quello che si colloca tra gli estremi di ciò che è carente e ciò che è eccessivo rispetto alla situazione.

Tutte le virtù morali sono un via di mezzo tra estremi ugualmente dannosi (troppo e troppo poco) nelle nostre azioni ed emozioni.

Qualche esempio di virtù come giusto mezzo tra estremi.

Troppo pocoMezzo (virtù)Troppo
AvariziaGenerositàProdigalità
Derisione di séFiducia in sé stessiSuperbia
ApatiaCalmaCollera

A volte la media è più vicina a un estremo che all'altro a causa delle circostanze particolari. Poiché le situazioni sono diverse, non è sufficiente dire “Sii coraggioso”, perché il significato del coraggio varia da situazione a situazione. Ci sono ancora standard etici, ma sono relativi alla situazione. È sempre sbagliato mangiare troppo, ma “troppo” sarà diverso per ogni individuo. Ecco perché l'enfasi sulla virtù, la capacità di discernere come prendere decisioni etiche, è la chiave per una vita etica, buona ed equilibrata che valga la pena di essere vissuta.

Più si è abili a trovare e ad agire secondo il giusto mezzo, più si ha phrónesis ("saggezza pratica"). Questa forma di ragione pratica aiuta a riconoscere quali caratteristiche di una situazione siano moralmente rilevanti e come si può fare la cosa giusta nella singola situazione. La ragione pratica è razionale perché è aperta all'influenza della ragione. È un'abilità appresa. Una persona che ascolta e impara dalla ragione altrui è una persona razionale, e lo stesso vale per l'etica. Secondo Aristotele, ogni pensiero che abbiamo ed ogni azione che compiamo contribuisce allo sviluppo di una virtù o di un vizio. Virtù come la temperanza, il coraggio e la veridicità diventano sempre più parte delle nostre azioni quanto più intendiamo realizzarle e più ci esercitiamo per farlo. La persona veramente virtuosa:

  • Sa cosa sta facendo.
  • Sceglie un atto virtuoso per sé stesso.
  • Compie la sua scelta come risultato di uno stato morale stabile.
  • Sceglie volentieri e facilmente.

Questo è possibile solo sviluppando una disposizione virtuosa in cui l'anima è regolata dalla ragione. Più si pratica la virtù, più si è capaci di compiere la virtù, perché essa diventa uno stile di vita. Condurre una buona vita oggettivamente razionale consentirà di ottenere il tipo di felicità adatto ad un essere umano.

La teoria della virtù di Tommaso d'Aquino

La maggior parte degli scritti di Aristotele andarono perduti nell'Europa occidentale fino al XII secolo. Quando l'islam si diffuse in Egitto, Levante e Persia nel VII secolo, furono trovate biblioteche di antichi scritti greci, comprese le opere di Aristotele perdute nel mondo di lingua latina. Ibn Sina (Avicenna), Ibn Rush (Averroè) e altri pensatori islamici riconobbero il valore di Aristotele e scrissero commenti delle sue opere e altre opere in cui sviluppavano la sua filosofia. Quelle opere furono scoperte dai cristiani quando conquistarono la Spagna islamica centrale a metà del XII secolo. Come le loro controparti islamiche alcuni secoli prima, gli studiosi cristiani compresero l'importanza delle biblioteche islamiche. Le opere di Aristotele (che gli studiosi cristiani conoscevano dai suoi libri di logica) furono tradotte avidamente in latino e ampiamente distribuite.

I testi di Aristotele ponevano ai filosofi cristiani il problema di conciliarli con la teologia cristiana, cosa che portò a molte discussioni all'interno della Chiesa cattolica del XIII secolo. Tommaso d'Aquino (1225-1274), che scrisse la Summa Theologiae (La somma della conoscenza teologica), creò un sistema che prometteva di fornire risposte a tutte le domande. La filosofia di Tommaso d'Aquino si basava sugli scritti di Aristotele, che chiamò con reverenza "Il Filosofo" e poneva come fonte di verità quasi allo stesso livello della Bibbia. Si scorgeranno le somiglianze tra i sistemi etici di Aristotele e d'Aquino.

Come Aristotele, Tommaso d'Aquino basava l'etica sul perseguimento del nostro fine umano. A differenza del filosofo greco, Tommaso credeva che lo scopo propriamente umano dell' eudaimonia non si trovasse in questo mondo. Il sistema di Aristotele, secondo Tommaso d'Aquino, era quanto di meglio gli esseri umani potessero raggiungere sulla base del regno naturale, ma il nostro fine come esseri umani deve essere perfezionato attraverso l'unione con Dio. Per Tommaso ogni evento si verifica perché c'è un fine verso il quale le cose sono dirette, e noi umani, come ogni altra cosa nell'universo, abbiamo i nostri fini. A differenza di tutto il resto, noi esseri umani possiamo scegliere consapevolmente quali fini perseguire e l'etica si occupa di stabilire quali fini valgono i nostri sforzi per raggiungerli. Come Aristotele, Tommaso d'Aquino credeva che la comprensione etica provenga dalla virtù e che la virtù sia un'abilità che deve essere sviluppata. Come Aristotele, inoltre, credeva che impariamo ciò che è etico attraverso la nostra ragione, che possiamo usare per scoprire la legge naturale di Dio che è insita nella creazione. Riflettendo razionalmente su ciò che è in accordo con la natura e le nostre inclinazioni naturali, possiamo comprendere le virtù etiche.

L'idea aristotelica di Tommaso d'Aquino secondo cui gli esseri umani possono comprendere razionalmente i principi etici doveva fare i conti con il concetto cristiano secondo cui la natura peccaminosa dell'umanità impedisce tale comprensione. Egli ha affermato che il peccato colpisce la nostra vita morale ma non la nostra vita razionale, aprendo la strada all'uso del nostro intelletto umano per apprendere le verità etiche. Dai filosofi islamici ha preso in prestito la concezione che l'intelletto è sia passivo che attivo. L'intelletto riceve passivamente l'esperienza sensoriale e le idee, ma le elabora attivamente per astrarre verità universali. Questo è un processo naturale che è inerente alla mente umana senza richiedere l'illuminazione di Dio e che non è influenzato dal peccato (come veniva comunemente insegnato ai tempi di Tommaso d'Aquino). Gli universali, astratti dalla mente partendo da più realtà individuali (ad esempio, "triangolo" può essere astratto dai singoli triangoli), sono legati a caratteristiche reali del mondo, gli universali creati da Dio e prima esistenti nella mente di Dio, che li ha usati per creare gli oggetti nel mondo. In parole povere, usiamo il nostro intelletto per comprendere il mondo che Dio ha creato. È un mondo ordinato e con uno scopo, con tutti gli oggetti in esso contenuti che ricevono il loro scopo da Dio. Osservando il mondo e riflettendo sulle nostre osservazioni, possiamo conoscere il mondo naturale, comprese le leggi etiche di Dio, che permeano il mondo naturale. Tommaso d'Aquino usò questa concezione per sviluppare quella che oggi conosciamo come "legge naturale" — l'idea che le verità etiche sono radicate nella natura (si veda il capitolo 2 per ulteriori informazioni sulla visione di Tommaso della legge naturale).

Per essere virtuosi, dobbiamo imparare la legge naturale di Dio che governa il movimento degli oggetti in natura e ci istruisce sul comportamento etico. Essere razionali, che è centrale per i nostri fini umani, richiede disciplina intellettuale, ma è la via della virtù. Attraverso l'autodisciplina e la riflessione sulla legge naturale, impariamo e sviluppiamo come abitudini radicate le quattro virtù cardinali della temperanza, del coraggio, della prudenza e della giustizia. Le persone virtuose praticano le quattro virtù cardinali nella loro vita quotidiana, e da quelle virtù scaturiscono comportamenti etici in tutte le situazioni.

Etica della virtù buddhista

Il buddhismo è una tradizione spirituale e filosofica fondata da Siddhartha Gautama in India nel V secolo a.C. Ci sono molte scuole di pensiero buddhista in molti paesi, dai monasteri dediti alla devozione rituale religiosa a coloro che praticano la mediazione da soli. Un filo che accomuna la maggior parte delle scuole di pensiero buddhiste è l'enfasi su un sistema etico di virtù che insegna l'arte di diventare equilibrati e armoniosi attraverso l'umiltà, con l'obiettivo di essere liberi da dukkha, dalla sofferenza o dall'angoscia. Possiamo liberarci dalla sofferenza estinguendo l'odio e l'ignoranza, seguendo l'insegnamento del fondatore del buddhismo, Siddhartha Gautama, che divenne il "Buddha", termine che significa "il Risvegliato". Siddhartha Gautama insegnò che quelli che i cosiddetti atti malvagi vengono compiuti per ignoranza e paura; pertanto, le regole e le minacce di punizione non limitano questi atti. Impariamo ad agire in modo appropriato (sammā, che significa il migliore o il più efficace nelle circostanze) concentrandoci sul pensare in modo appropriato, perché i nostri pensieri portano alle nostre azioni. L'enfasi nel buddhismo è su ciò che è adatto e inadatto piuttosto che sul senso occidentale di giusto e sbagliato o buono e cattivo. Una vita di virtù è delineata dall'ottuplice sentiero: retta visione, retta intenzione, retta consapevolezza, retta concentrazione, retto sforzo, retta parola, retta condotta corporea e retti mezzi di sussistenza. Rendendo adatti i propri pensieri e le proprie azioni, si promuovono risultati positivi e si riducono quelli dannosi. Ciò è particolarmente importante per i buddhisti a causa dell'insegnamento di Gautama sul karma, un concetto che è alla base dell'etica buddista e differisce in modo significativo dall'etica del comando divino che si trova in molte religioni.

Il karma è concepito come un fenomeno naturale a cui possiamo pensare in modo simile alle leggi della fisica. La legge del karma afferma che i pensieri e le azioni che intendono danneggiare gli altri alla fine causeranno danni a noi stessi e che i pensieri e le azioni che intendono recare beneficio agli altri finiranno per giovare a noi. Nella concezione buddista del tempo, ciò potrebbe accadere in una vita futura lontana più reincarnazioni, quindi i buddisti pensano meno in termini di conseguenze immediate di pensieri e azioni e più in termini di valore intrinseco di essi. Il karma non è un determinismo rigoroso in quanto abbiamo ancora il libero arbitrio e possiamo mitigare le conseguenze del karma attraverso i nostri pensieri e le nostre azioni virtuose. Per evitare future sofferenze in questa vita o nelle vite future, un buddhista si concentra sullo sviluppo della virtù interiore per essere in grado di pensare e agire in modo appropriato per evitare il karma negativo e generare karma positivo. Come con l'etica della virtù di Aristotele, più si pratica la virtù, più si è capaci di virtù. Avendo preso l'impegno di seguire l'ottuplice sentiero come stile di vita, si è disposti a seguire quelle regole.

Le dimore divine buddhiste
Il momento più alto dell’etica buddhista è rappresentato dalle cosiddette dimore divinebrahmavihara in lingua pali. Si tratta di quattro virtù superiori, che in qualche modo richiamano le virtù dianoetiche di Aristotele. Esse sono: mettā, il volere il bene di qualsiasi essere vivente; karuṇā, la compassione o empatia; muditā, la partecipazione alla gioia altrui e upekkhā, l’equanimità. C’è una differenza profonda, però, tra l’etica buddhista e quella aristotelica. Per il filosofo greco esiste un essere eterno ed immutabile, e la più alta vita umana, come abbiamo visto, consiste nella contemplazione e nella conoscenza teoretica di questo essere. Il buddhismo invece rifiuta qualsiasi speculazione metafisica e considera ogni ente come privo di identità. L’essere umano non fa eccezione. La possibilità di liberazione dalla sofferenza è legata alla capacità di superare il proprio ego e giungere a una visione non egoica della vita. Le virtù più alte sono finalizzate a questo scopo. In altri termini, l’etica buddhista è un’etica transpersonale, nel senso che a) il bene morale ci conduce al di là del nostro ego, b) siamo realmente morali solo nella misura in cui siamo capaci di superare il nostro ego. D’altra parte, poiché l’ego funziona in base a categorie di opposti (alto/basso, bello/brutto ecc.), trascendere l’ego vuol dire trascendere l’etica stessa, come pratica che cerca il bene invece del male (Vigilante 2021).

Etica della virtù cinese

Per più di due millenni, la filosofia cinese è stata dominata da due grandi tradizioni, il confucianesimo e il daoismo (taoismo), che hanno influenzato la Cina nel corso della sua storia e sono importanti per la cultura cinese ancora oggi. Entrambe le tradizioni sono fondate sul loro insegnamento del Dao, che è meglio tradotto come "la via". Dao è sia sostantivo che verbo, indica sia come è l'universo che come la corretta direzione delle cose. Il Dao non può essere descritto completamente a parole, ma può essere percepito come la fonte di tutte le cose e il ritmo dell'Essere. Tutte le cose provengono dal Dao, e tutte le cose hanno il proprio Dao, o essenza, che viene dal Dao Cosmico. Gli adepti sia del confucianesimo che del daoismo credono che essere nel Dao e in armonia con esso significhi essere virtuosi e in pace, e che questo stato di armonia duratura con il Dao, simile all' eudaimonia di Aristotele, sia il giusto obiettivo umano. Sia il sistema etico confuciano che quello taoista insegnano che una comunità prospera quando i suoi membri sono in armonia con il Dao e che lo stato prospera quando i suoi leader sono in armonia con il Dao. Tuttavia, il confucianesimo e il taoismo sono in disaccordo su come comunità e governi possano mantenersi in armonia con il tao e, quindi, promulgare idee diverse su come ottenere la virtù.

Il confucianesimo è il sistema sociale ed etico stabilito da Kongzi (Maestro Kong) (c. 551-479 a.C.), conosciuto in Occidente come Confucio. Kongzi vedeva la persona virtuosa come una creazione artistica ottenuta attraverso la pratica diligente dell'eccellenza e una pratica rituale rigorosa. Rituale, o Li, è l'arte e la pratica di creare il proprio carattere dalla materia prima della natura umana. Proprio come un artigiano utilizza strumenti per modellare legno o pietra, una persona utilizza comportamenti rituali per scolpire e lucidare il suo carattere. Il Li si estende a tutti gli aspetti della vita; Kongzi ha insegnato che ogni nostra azione influenza il nostro carattere e il nostro ambiente, quindi ogni attività deve essere eseguita con il rispetto e le procedure appropriati. Kongzi ha emesso centinaia di riti in detti che coprono molti aspetti della vita umana: come i giovani dovrebbero comportarsi verso i loro genitori, quali colori di abbigliamento si dovrebbero indossare e quando, come salutare un'altra persona, i protocolli da osservare alla corte del sovrano, e così via - e tutti devono essere rigorosamente osservati per coltivare la virtù etica globale nota come Ren.

La maggior parte dei riti specificati da Kongzi riguardano le interazioni umane e riflettono la grande importanza che egli dava al rispetto adeguato dei propri superiori. L'antica società cinese era altamente stratificata e Kongzi pensava che mantenere la gerarchia sociale fosse essenziale per l'ordine sociale. Mostrare rispetto per i propri superiori, come i funzionari del governo, gli anziani e gli antenati, era più che educato; era essenziale per il corretto funzionamento della società. La pietà filiale non voleva dire solo rispettare gli anziani della propria famiglia, vivi o morti; era l'elemento fondamentale dell'armonia sociale e della giustizia. Più si praticavano i riti, più si sviluppava la virtù, soprattutto la virtù del Ren o benevolenza. Quelli legati al Ren vanno intesi non come atti di gentilezza, ma come atti corretti che creano virtù in se stessi e nella società. Praticare i riti in modo virtuoso porta ogni persona e la società in armonia con il Dao e conduce a una buona vita per tutti.

La filosofia del Daoismo ha fornito a lungo un forte contrappunto al Confucianesimo. Come implica il nome, il Daoismo si concentra sull'armonia con il Dao piuttosto che sugli insegnamenti umani, l'opposto dell'enfasi confuciana su un sistema di comportamento rituale. L'etica daoista è incentrata sulla virtù fondamentale del wu wei, che significa "azione senza sforzo". Il Daoismo rifiuta i rituali formali e la ricerca deliberata della virtù, sottolineando invece che la virtù viene dalla naturalezza, dalla semplicità e dalla spontaneità. Il Daoismo a volte sembra essere anti-civilizzazione con i suoi inviti a distaccarsi dall'artificiosità delle tradizioni sociali e dei rituali e ad adottare invece una vita tranquilla in comunione con la natura. Altre volte, però, esso cerca di riformare la società, soprattutto i suoi leader:

Se vuoi essere un grande leader, devi imparare a seguire il Dao. Smettila di cercare di controllare. Abbandona i piani fissi e i concetti e il mondo si governerà da sé. Più divieti ci sono, meno virtuoso sarà il popolo. (Laozi [ca. 400-250 BCE] 1991, Capitolo 57)1

L'idea daoista è che separarsi dalla natura è separarsi dal Dao e che ciò che più contribuisce a questa separazione dal Dao sono le istituzioni sociali di governo, militari e altre gerarchie sociali e strutture di potere. La virtù taoista del wu wei implica una vita in cui ci si allontana dagli orpelli artificiali della presunzione e dell'arroganza umana e dal modellare le proprie azioni in base a ciò che gli altri pensano di noi. Invece, un daoista cerca l'unità con i ritmi della natura, il che probabilmente richiede di allontanarsi dalla società stessa. Deliberatamente, il Daoismo non fornisce un insieme di regole e rituali perché centrale nella filosofia daoista è l'idea che il rituale non coltivi la virtù. Invece, il Daoismo fornisce linee guida per coltivare le virtù dell'altruismo, della moderazione, del distacco e dell'umiltà. Di conseguenza, i filosofi daoisti non hanno pubblicato libri che descrivono in dettaglio le pratiche rituali come facevano i confuciani. Invece, i daoisti hanno creato poesie e storie che mostrano i saggi daoisti che insegnano ed esemplificano queste virtù.

Obiezioni all'etica della virtù

Ci sono due principali obiezioni all'etica della virtù come sistema etico: la sua vaghezza e il suo relativismo. In primo luogo, l'etica della virtù è troppo vaga e soggettiva, e non produce regole esplicite per la condotta morale che possono dirci come agire in circostanze specifiche. Quando affrontiamo dilemmi etici, ci sentiamo meglio se abbiamo una risposta chiara su cosa fare. L'etica della virtù offre ideali generali piuttosto che comandi definitivi. Possiamo creare leggi basate su un'etica definitiva contro il furto, ma non possiamo fare leggi che dicono "sii saggio" o "sii paziente." È problematico inoltre che l'etica della virtù tenda a ritenere che le sue virtù si applichino in modo variabile a seconda della situazione. È molto più facile praticare i principi di non mentire mai o di essere sempre generosi. L'etica della virtù dice che ci sono momenti in cui mentire è un'azione migliore e essere generosi è un'azione peggiore, e questa variabilità crea incertezza. Inoltre, come posso decidere quando la virtù si applica e quando no? Dirmi di essere saggio e riflettere sulle virtù etiche e sulla situazione vuol dire aumentare la vaghezza. Infine, vogliamo essere in grado di fare affidamento sul comportamento degli altri, e coloro che praticano l'etica delle virtù possono variare nel loro comportamento, quindi potremmo non sapere esattamente come comportarci con loro.

Per considerare questa obiezione, dobbiamo pensare alla natura dell'etica stessa. Certo, potremmo dire con decisione: "Non devi mentire" e "non devi rubare". Ma su cosa si basano queste proibizioni? Un etico della virtù potrebbe rispondere sostenendo che entrambi i divieti sono basati sul principio etico dell'onestà e che se è così, allora coltivare la virtù dell'onestà ci porterà a non mentire o rubare agli altri. Un etico della virtù direbbe anche che l'etica della virtù si concentra sul fondamento della vita etica racchiuso nella ragione oggettiva (Aristotele), nella legge naturale di Dio (Tommaso), nella legge del karma (buddhismo) o nel Dao (confucianesimo o daoismo), e quindi la virtù non è interamente variabile. L'etica della virtù ci fornisce gli strumenti per prendere decisioni etiche nelle diverse circostanze della nostra vita quotidiana. La variabilità nel comportamento di coloro che praticano l'etica della virtù riflette la variabilità della vita quotidiana.

Riferimenti bibliografici

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Lao Tzu, Tao Te Ching, a cura di Augusto Shantena Sabbadini, Feltrinelli, Milano 2013.

Laozi, Dao de Jing, trad. Stephen Mitchell, Harper Perennial, New York 1991.

Altre letture

Arena L. V., La filosofia cinese, Rizzoli, Milano 2000.

Athanassoulis N., Virtue Ethics, Bloomsbury, London 2002.

Cheng A., Storia del pensiero cinese, Einaudi, Torino 2000, 2 voll.

Chin A., Confucio, Laterza, Roma-Bari 2008.

Crisp R., Slote M. (a cura di), Virtue Ethics, Oxford University Press, Oxford 1997.

Darwall S., Virtue Ethics, Wiley-Blackwell, Oxford/Malden, MA 2002.

Foot Ph., Virtues and Vices: And Other Essays in Moral Philosophy, Oxford University Press, New York 2003.

Harvey P., An Introduction to Buddhist Ethics: Foundations, Values and Issues, Cambridge University Press, Cambridge 2000.

Jullien F., Il saggio è senza idee o l'altro della filosofia, Einaudi, Torino 2002.

Liu J., An Introduction to Chinese Philosophy: From Ancient Philosophy to Chinese Buddhism. Wileym Oxford/Malden, MA 2008.

Nhat Hanh T., Il cuore dell'insegnamento del Buddha, Neri Pozza, Vicenza 2000.

Russell D. C., The Cambridge Companion to Virtue Ethics, Cambridge University Press, Cambridge 2013.

Vigilante A., Le dimore leggere. Saggio sull'etica buddhista, Petite Plaisance, Pistoia 2021.

Note

1 La traduzione è condotta sulla traduzione inglese. Le caratteristiche del testo cinese sono tali che le traduzioni divergono in modo sensibile. Questa è la traduzione dello stesso passo a cura di Augusto Shantena Sabbadini: "Una la rettitudine per governare uno stato, / usa gli stratagemmi per condurre una guerra, / usa il non fare per conquistare il mondo. / Come so che è così? / Per via di questo. / Nel mondo si accumulano divieti e tabù / e la gente sempre più si impoverisce." (Lao Tzu 2013, 429) (N.d.T.) 

Traduzione di Antonio Vigilante.

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