Vedere ogni presente come l'ultimo

[Michelstaedter]

 

Chi segue la via della persuasione vive interamente nel presente, senza più lasciarsi irretire dai bisogni che lo spingono verso il futuro.

Chi vuol aver un attimo solo sua la sua vita, esser un attimo solo persuaso di ciò che fa — deve impossessarsi del presente; vedere ogni presente come l’ultimo, come se fosse certa dopo la morte: e nell’oscurità crearsi da sé la vita. A chi ha la sua vita nel presente, la morte nulla toglie; poiché niente in lui chiede più di continuare; niente è in lui per la paura della morte — niente è così perché così è dato a lui dalla nascita come necessario alla vita. E la morte non toglie che ciò che è nato. Non toglie che quello che ha già preso dal dì che uno è nato, che perché nato vive della paura della morte; che vive per vivere, vive perché vive — perché è nato. — Ma chi vuol aver la sua vita non deve credersi nato, e vivo, soltanto perché è nato — né sufficiente la sua vita, da esser così continuata e difesa dalla morte.

I bisogni, le necessità della vita, non sono per lui necessità, poiché non è necessario che sia continuata la vita che, bisognosa di tutto, si rivela non esser vita. Egli non può prender la persona di questi bisogni come sufficiente, se appunto essi non curano che il futuro: egli non può affermar sé stesso nell’affermazione di quelli, che sono dati in lui, come è data la correlatività, da una contingenza che è fuori e prima di lui: egli non può muoversi a differenza delle cose che sono perché egli ne abbia bisogno: non c’è pane per lui, non c’è acqua, non c’è letto, non c’è famiglia, non c’è patria, non c’è dio — egli è solo nel deserto, e deve crear tutto da sé: dio e patria e famiglia e l’acqua e il pane. Poiché quelli che il bisogno gli addita, quelli sono il suo stesso bisogno: quelli restano sempre lontani, quanto il suo bisogno di continuare li projetterà sempre avanti nel futuro: quelli non li potrà mai avere, ma quando vada a loro essi s’allontaneranno: poiché egli rincorrerebbe la propria ombra.

No, egli deve permanere, non andar dietro a quelli fingendoseli fermi perché essi lo attraggano sempre nel futuro; egli deve permanere seppur vuole ch’essi gli siano nel presente, che siano suoi veramente. Egli deve resister senza posa alla corrente della sua propria illusione; s’egli cede in un punto e si concede a ciò che a lui si concede, nuovamente si dissolve la sua vita, ed ei vive la propria morte — in ciò che prendendo la sufficienza del suo bisogno, che la paura della morte ha determinato, egli ha affermato la sua propria insufficienza, ha chiesto ad altri appoggio alla sua vita, ha preso la persona della fame per aver fame ancora nel prossimo istante, mentre questo istante doveva esser l’ultimo per lui. Questo rimorso, questa morte di sé ch’egli sente, invano ei cerca allora ingannare in quel piacere – sotto resta l’ombra del dolore cieco e muto, che amaro e vuoto gli rende quel piacere — invano egli tenta per quella via d’impossessarsi della cosa che l’ha attratto: è finita e non in lui la correlatività, il resto scende sotto nell’ombra.

 

Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Formiggini, Genova 1913, pp. 35-37. Pubblico dominio