Una nobildonna fa visita a un gruppo di asceti. Murshidabad, c. 1770 (British Library). Pubblico dominio

Indice

1. La condizione umana

Fondato dal leggendario saggio Kapila, che sarebbe vissuto prima del sesto secolo a C., il Samkhya (सांख्य, pronuncia: Sànkhyà) è il più antico sistema filosofico indiano ed ha influenzato per secoli la speculazione indiana, lasciando tracce nella Bhagavadgita e offrendo le basi teoriche dello Yoga. Come per gli altri sistemi filosofico-religiosi indiani (compreso il Buddhismo), il suo fine è la liberazione dalla sofferenza; il mezzo è la conoscenza analitica della realtà, che consente di cogliere l’esistenza di due principi ultimi ed il carattere illusorio del mondo in cui siamo.

Il testo che seguiremo per analizzarne il pensiero è il Samkhyakarika di Ishvarakrishna – con il quale il sistema giunge alla sua più matura sistemazione – con l’ausilio del commento del filosofo del sesto secolo d.C. Gaudapada; non si conosce la data esatta detta composizione, ma è avvenuta sicuramente prima del 560 a.C, data in cui è attestata una traduzione cinese. Si tratta di un testo-radice, scarno ed essenziale, pensato come base per l’intervento successivo dei commentatori ed interpreti.

Il punto di partenza del Samkhya, dunque, è la sofferenza umana. Essa ha tre aspetti: il dolore naturale, che può essere fisico (causato da problemi legati al corpo, come malattie) o mentale (causato dal contatto con cose spiacevoli e dall’assenza di cose piacevoli); il dolore esterno, che nasce dall’azione di altri esseri umani o animali (si pensi ad un’aggressione); quello superumano consiste in tutto ciò che l’essere umano soffre a causa della natura, come il freddo e il caldo, eccetera. Contro questi mali esistono diversi rimedi, che Ishvarakrishna prende in considerazione con notevole realismo. Per affrontare i mali del corpo ad esempio occorrerà ricorrere ai rimedi della scienza medica, per quelli esterni sarà bene ripararsi, ma tutti questi rimedi sono parziali e insufficienti. Lo stesso vale per i rimedi religiosi, che Ishvarakrishna chiama rivelati, tra i quali i sacrifici animali. Essi sono intrinsecamente impuri, ma soprattutto non sono risolutivi; gli stessi dèi infatti sono destinati ad essere distrutti alla fine di un evo cosmico. Come si può ritenere che possano liberare gli esseri umani dalla condizione di sofferenza in cui versano, se essi stessi sono soggetti a distruzione?

2. La conoscenza

L’unico mezzo valido e definitivo per la liberazione è la conoscenza. Ma con quale metodo? Ishvarakrishna distingue tre strumenti di conoscenza. Il primo è costituito dalla percezione sensoriale, che ci permette di cogliere i singoli enti reali. Il secondo consiste nell’inferenza, il processo logico con cui partiamo da un dato presente per giungere a ciò che non è immediatamente presente, ed è di tre tipi:

  1. Inferenza a priori, quando inferiamo l’effetto dalla causa: dall’addensarsi delle nuvole inferiamo la pioggia.
  2. Inferenza a posteriori, quando inferiamo la causa dall’effetto: se un fiume si è ingrossato, vuol dire che ha piovuto.
  3. Inferenza generale: se vediamo muoversi le stelle, inferiamo che le stelle sono dei corpi celesti in movimento.

Il terzo strumento di conoscenza è rappresentato dalla rivelazione degna di fede, vale a dire la tradizione religiosa e l’insegnamento dei maestri religiosi.

Questi tre strumenti di conoscenza ci consentono di accedere alla realtà nei suoi diversi aspetti. La percezione è sufficiente per cogliere il mondo sensibile. Grazie all’inferenza riusciamo a cogliere razionalmente gli elementi – vedremo quali – che sono al di là del visibile, mentre la rivelazione religiosa attesta l’esistenza degli dèi e altri elementi soprasensibili.

3. La Natura

La conoscenza, che parte dall’osservazione sensibile e si sviluppa con l’inferenza, ci porta ad individuare i due principi fondamentali della realtà: Prakriti, la Natura, il Principio che soggiace al mondo materiale, e Purusha, lo Spirito. Prakriti non è visibile; la sua esistenza è conquistata per inferenza riflettendo sul mondo manifesto. Tutti i singoli enti che percepiamo appaiono causati, non eterni, soggetti a dissoluzione ed hanno pertanto bisogno di una causa materiale, che è appunto la Natura-Prakriti. Essa a sua volta è costituita da tre elementi, i Guna, forze naturali cui corrisponde una precisa tonalità emotiva. Essi sono:

  1. Sattva. Il Guna della luce, della purezza e del piacere.
  2. Rajas. Il Guna della passione, del dinamismo, della violenza, del dolore.
  3. Tamas. Il Guna dell’inerzia, dell’ignoranza, del limite.

Queste tre forze, inizialmente in armonia, si separano dando origine al mondo con i suoi diversi livelli. Nel mondo degli dèi a prevalere è Sattva, in quello umano, più passionale che razionale, più doloroso che felice, prevale Rajas, mentre nel mondo animale, privo di consapevolezza, prevale Tamas.

4. L’anima

Lo stesso procedimento di inferenza viene applicato dal Samkhya a noi stessi. Così come considerando gli enti fuori di noi giungiamo a cogliere l’esistenza di un principio da cui scaturiscono, analizzando noi stessi scorgiamo, al di là dei nostri elementi psicologici, l’esistenza di un principio spirituale, il Purusha. Esso non va confuso con le singole caratteristiche e facoltà psicologiche, che sono anch’esse sotto l’influsso dei tre Guna, per cui possiamo sentire ed agire con chiarezza o con violenza o in modo confuso. Qualunque passione però non coinvolge realmente lo Spirito, che è un principio assolutamente puro, non toccato dalla Natura. Il rapporto tra il Purusha e la normale attività psichica è chiarito con l’immagine del testimone: lo Spirito assiste a ciò che avviene nella psiche, senza però esserne realmente coinvolto.

Il Purusha non è un unico principio spirituale. Se così fosse, osserva Ishvarakrishna, il nascere e la morte sarebbero comuni a tutte le anime, mentre così non è. Esistono dunque una sola Prakriti e una molteplità di Purusha.

Ma se il Purusha è separato dalla normale attività psichica, che avviene sotto l’influenza della Natura, come può avvenire l’azione? Il rapporto tra Purusha e l’attività psicologica sotto l’influsso dei Guna è spiegato da Gaudapada con l’immagine di un monaco itinerante che resti inattivo, intento alla contemplazione, in mezzo a contadini intenti a lavorare la terra (Samkhyakarika, cap. 19, commento). Se però il Purusha è così separato, in che modo può essere avviato il percorso di liberazione? Esso richiede una decisione. Ma se il principio spirituale è inattivo, come è possibile sottrarsi al gioco delle passioni e contrastarlo? È necessario un qualche contatto tra il Purusha e l’azione della Natura nella psiche. Ed è esattamente quello che avviene. Anche in questo caso Gaudapada spiega con una immagine: come un vaso messo a contatto col freddo si raffredda, così gli elementi naturali della psiche messi a contatto con il Purusha acquistano consapevolezza; al tempo stesso attraverso di essi il Purusha diventa attivo.

5. La creazione

La Natura e lo Spirito, per quanto siano principi radicalmente diversi, giungono dunque a unirsi. Ishvarakrishna descrive questa unione con una metafora molto suggestiva ed efficace: quella dell’unione di uno zoppo con un cieco. Ad essere cieca è la Natura, priva di coscienza, mentre lo zoppo è lo Spirito, che è pura consapevolezza, priva di qualsiasi capacità di agire.

Dall’unione dello Spirito con la Natura discendono la realtà nei suoi elementi costituenti: la Buddhi, la psiche, le cui caratteristiche sattviche (la moralità, la conoscenza, il distacco) sono il punto di partenza del processo di liberazione, mentre quelle tamasiche legano al ciclo delle rinascite; il senso dell’io, Ahamkara, cui è legata l’identità; il Manas, ossia la coscienza sensoriale; i cinque sensi e i cinque organi sensoriali (parola, mani, piedi, ano e genitali); i cinque elementi sottili legati ai sensi (Tanmatra: il suono, il tatto, la forma…); i cinque elementi grossolani (acqua, aria, terra, fuoco ed etere).

Nell’esperienza quotidiana ci troviamo immersi nel mondo naturale, preda delle passioni e quindi inevitabilmente esposti alla sofferenza. Ignoriamo l’esistenza di un fondo spirituale al di là della nostra mente. Attraverso la conoscenza ci accorgiamo non solo che esistono i due princìpi, ma anche che la loro unione è più illusoria che reale. Il tipo di conoscenza che conduce alla liberazione consiste nel discriminare e enumerare (Samkhya vuol dire appunto enumerazione) gli elementi della realtà, per così dire districando la matassa della nostra esperienza quotidiana.

6. La liberazione

Una volta individuati gli elementi del reale, si acquista la consapevolezza dell’esistenza di una dimensione spirituale al di là della nostra mente e della sua estraneità al mondo materiale. Acquisire questa coscienza è il fine del Samkhya ed è anche ciò che consente all’essere umano di conquistare la liberazione. Come altre correnti filosofiche e religiose indiane, il Samkhya ritiene che gli esseri umani siano spinti verso nuove incarnazioni secondo la legge del karma, che lega una esistenza all’esistenza successiva secondo una dinamica di causa ed effetto. Analizzando gli elementi della realtà, si scopre di essere il Purusha, il puro Spirito, si abbandona il senso dell’io e ci si distacca dalla Natura. Usando ancora una immagine suggestiva, Ishvarakrishna afferma che quando si è conquistata questa conoscenza, la Natura appare come una danzatrice che smette di danzare una volta che si è mostrata al pubblico (Samkhyakarika, cap. 59). Diventa chiaro adesso che la Natura non era la prigione dello Spirito, ma esisteva al suo servizio, esattamente come, afferma ancora il Samkhyakarika (cap. 58), il latte esiste per la crescita del vitello. La Natura è al servizio della presa di coscienza di sé da parte dello Spirito; una volta acquisita, essa si ritrae e scompare, anche se ciò vale solo per il singolo individuo che ha raggiunto la liberazione, mentre continua a operare per gli altri. È come se ci si risvegliasse da un sogno, accorgendosi che il sogno stesso era necessario, per quanto doloroso potesse essere, e per quanto, al risveglio, appaia nulla più che una illusione.

Occorre segnalare, infine, che questa via di liberazione fa del tutto a meno di pratiche religiose devozionali, di sacrifici e della stessa concezione di un Dio trascendente.

Testi

 1. Il dolore e i modi per superarlo
 2. Infufficienza delle Scritture
 3. I mezzi di conoscenza
 4. L'inferenza