L'autodominio

[Socrate]

 

In questo dialogo con Eutidemo – a dire il vero più monologo che dialogo, perché Eutidemo si limita ad essere d’accordo – Socrate spiega l’importanza di saper dominare sé stessi.

 

Cercò anche di rendere i suoi compagni efficienti negli affari, come ora mostrerò. Ritenendo infatti che sia bene che chiunque intenda compiere un'opera onorevole abbia autocontrollo, fece capire ai suoi compagni, in primo luogo, che egli stesso era stato assiduo nell'autodisciplina;1 inoltre, nella sua conversazione, esortava i compagni a coltivare l'autocontrollo sopra ogni cosa.

In questo modo teneva continuamente presente ciò che sostiene la virtù e lo faceva ricordare a tutti i suoi compagni. Ricordo in particolare il contenuto di una conversazione che ebbe una volta con Eutidemo sull’autocontrollo. “Dimmi, Eutidemo”, disse, “pensi che la libertà sia un bene nobile e splendido sia per gli individui che per le comunità?”.

“Sì, penso che lo sia, in sommo grado”.

“E pensi che sia libero l'uomo che è dominato dai piaceri corporei e non è in grado di fare ciò che è meglio a causa di essi?”.

“Assolutamente no”.

“Forse, infatti, fare ciò che è meglio ti sembra libertà, e quindi pensi che avere dei padroni che impediscano tale attività sia una schiavitù?”.

“Ne sono certo”.

“Sei quindi sicuro che coloro che non sanno dominarsi siano schiavi?”.

“Certo, naturalmente”.

“E pensi che coloro che non sanno dominarsi siano solo impediti nel compiere le azioni più nobili, o siano anche costretti a fare quelle più disonorevoli?”.

“Penso che siano costretti sia a fare queste che a non fare le altre".

“E che razza di padroni sono, secondo te, quelli che impediscono il meglio e impongono il peggio?”.

“I peggiori possibili, naturalmente”.

“E quale tipo di schiavitù ritieni sia la peggiore?”.

“Essere schiavi dei padroni peggiori, credo”.

“La peggiore schiavitù, quindi, è quella sopportata da coloro che non sanno dominarsi?”.

“Credo di sì”.

“Quanto alla saggezza, la più grande benedizione, il non sapersi dominare non la esclude e non spinge gli uomini a fare il contrario? Non pensi che ciò impedisca loro di occuparsi delle cose utili e di comprenderle, distogliendoli dalle cose piacevoli, e spesso stordisca a tal punto la loro percezione del bene e del male che scelgono il peggio invece del meglio?.”

“È quello che accade”.

“Con la prudenza, Eutidemo, chi, diciamo, ha meno a che fare di coloro che non sanno dominarsi? Perché presumo che le azioni suggerite dalla prudenza e dalla mancanza di autodominio siano esattamente opposte”.

“Sono d'accordo anche su questo”.

“Per la cura di ciò che è giusto c'è un ostacolo più forte, secondo te, del non sapersi dominare?”.

“Non credo proprio”.

“E pensi che ci possa essere qualcosa di peggiore per un uomo di ciò che lo induce a scegliere il dannoso piuttosto che l’utile e lo convince a preoccuparsi dell’uno e a non curarsi dell’altro, e lo costringe a fare il contrario di ciò che la prudenza impone?”.

“Niente”.

“E non è probabile che l’autocontrollo provochi azioni opposte a quelle dovute alla sua mancanza?”.

“Certamente”.

“Allora la causa delle azioni opposte non è presumibile che sia un bene molto grande?".

“Sì, è così”.

“Di conseguenza possiamo presumere, Eutidemo, che l’autocontrollo sia un grandissimo bene per un uomo?”.

“Possiamo presumere di sì, Socrate”.

“Ti è mai venuto in mente, Eutidemo?”

“Cosa?”

“Che sebbene il piacere sia l’unico e solo obiettivo a cui si ritiene che la mancanza di autodominio conduca gli uomini, essa stessa non può portarli al piacere, mentre nulla produce piacere in modo così sicuro come l’autocontrollo?”.

"Come mai?"

“La mancanza di autodominio non permette loro di sopportare la fame o la sete o il desiderio o la mancanza di sonno, che sono le uniche cause del piacere nel mangiare e nel bere e nel sesso, nel riposare e nel dormire, dopo un periodo di attesa e di resistenza fino al momento in cui questi daranno la massima soddisfazione possibile; e così impedisce loro di provare qualsiasi piacere significativo nelle forme più elementari di godimento. Ma solo l’autocontrollo fa sì che sopportino le sofferenze che ho nominato, e quindi solo essa fa sì che provino un piacere degno di essere menzionato in tali piaceri”.

“Quello che dici è del tutto vero”.

“Inoltre, il piacere di imparare qualcosa di buono e di eccellente, e di studiare alcuni dei mezzi con cui un uomo sa come regolare bene il suo corpo e gestire con successo la sua casa, per essere utile ai suoi amici e alla sua città e per sconfiggere i suoi nemici – conoscenza che produce non solo benefici molto grandi, ma anche piaceri molto grandi – questi sono i piaceri dell’autodominio; ma l'incontinente non ha parte in essi. Chi, infatti, si preoccupa meno di colui che non ha la possibilità di coltivarle, perché tutti i suoi scopi seri sono concentrati sui piaceri più vicini?”.

“Socrate”, disse Eutidemo, “credo che tu intenda dire che chi è in balia dei piaceri corporei non si preoccupa in alcun modo della virtù in nessuna forma”.

“Sì, Eutidemo; perché come può un uomo che non sa dominarsi essere migliore della bestia più ottusa? Come può essere migliore della più stupida delle creature colui che non considera le cose più importanti e si sforza con ogni mezzo di fare quelle più piacevoli? No, solo chi è padrone di sé ha il potere di considerare le cose che contano di più e, selezionandole secondo il loro genere, di preferire con le parole e con le azioni il bene e di respingere il male".

 

Senofonte, Memorabili, Libro IV, 5, 1-12. Traduzione di Antonio Vigilante.