Il problema della deduzione trascendentale

All’inizio del secondo capitolo dell’Analitica trascendentale Kant presenta la questione della deduzione trascendentale. È una problema che necessitò di un grande sforzo di riflessione, come dimostrano le grandi differenza tra la prima e la seconda edizione della prima Critica.

Gli studiosi di diritto, quando parlano di poteri legittimi e pretese ingiustificate, distinguono in un processo [a] la questione di ciò che è di diritto (quid iuris) da quella di ciò che è di fatto (quid facti); e quando chiedono la prova di entrambi, chiamano la prima, che deve dimostrare il diritto o la pretesa, deduzione (Deduction). Noi facciamo uso di una moltitudine di concetti empirici senza che nessuno ci contraddica, e ci riteniamo autorizzati, anche senza deduzione, ad attribuire loro un senso e un significato immaginario perché abbiamo sempre l’esperienza a portata di mano per dimostrare la loro realtà oggettiva. Esistono tuttavia anche concetti usurpati (usurpirte Begriffe), come fortuna (Glück), destino (Schicksal), che anche se circolano grazie ad una indulgenza quasi generale, a volte vengono tuttavia messi in questione con la domanda: quid iuris? Ci si trova allora in un imbarazzo non da poco a causa della loro deduzione, in quanto non si ha nessun chiaro fondamento di diritto in base al quale si chiarisca la legittimità del loro uso.

Ma tra i vari concetti che compongono il tessuto molto eterogeneo della conoscenza umana, ce ne sono alcuni che sono destinati anche ad un uso a priori (del tutto indipendente da ogni esperienza), e questa loro pretesa richiede sempre una deduzione, perché la prova dell’esperienza non è sufficiente a dimostrare la legittimità di tale uso, ma è necessario sapere in qualche modo questi concetti possono riferirsi agli oggetti senza derivarli da alcuna esperienza. [b] Per questo motivo chiamo deduzione trascendentale la spiegazione di come i concetti possono riferirsi a priori agli oggetti e la distinguo dalla deduzione empirica, che mostra il modo in cui un concetto è stato acquisito attraverso l’esperienza e la riflessione su di essa, e quindi non riguarda la legittimità, ma il fatto da cui è originato il possesso.

Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft. Zweite hin und wieder verbesserte Auflage (1787) [Critica della ragion pura, seconda edizione], A84-A85. Traduzione di Antonio Vigilante. Licenza CC BY 4.0.

a. Nel senso di causa in tribunale.
b. Alcuni concetti, come quello di albero, derivano dall’esperienza. Di loro possiamo fare una deduzione empirica, analizzando il modo in cui dalla percezione dei singoli alberi arriviamo alla creazione del concetto generale. Fatto ciò, è chiaro che l’uso del concetto di albero è legittimo. Il problema che pone Kant è invece quello della legittimità dell’uso di concetti che non derivano dall’esperienza.

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