Giusto e sbagliato sono solo questione di opinione? Relativismo morale e soggettivismo

Acquerello di T. Rowlandson, 1815. Licenza CC Attribution 4.0 International.

Il marito, recentemente deceduto, giaceva sulla pila funeraria in attesa di essere bruciato. Centinaia di persone dei villaggi vicini stavano a guardare e attendevano che la vedova compisse fino alla fine il suo dovere di castità. Mentre la pira veniva accesa, la donna fece qualche passo verso di essa e si arrampicò sul cadavere del marito per abbracciargli il collo. Il dolore era atroce, ma se fosse scesa avrebbe gettato la sua famiglia nella vergogna e probabilmente sarebbe stata linciata comunque dalla folla. Quindi rimase lì.

La pratica di bruciare una vedova sulla pira funeraria del marito, nota come suttee o sati, è stata comune in alcune parti dell’India fino al diciannovesimo secolo. Per consentire che i beni e le proprietà dell’uomo morto tornassero alla sua famiglia, ci si aspettava che la sua vedova si suicidasse e compisse il suo voto di castità immolandosi sulla pira funeraria. Sono stati registrati anche molti casi di vedove annegate o sepolte vive con i loro mariti morti. Questa pratica è durata duemila anni, finché gli inglesi l’hanno vietata nel 1829 in quanto disumana e immorale (vedi Sharma 1988, 6-7).

Il sati è moralmente accettabile semplicemente perché è stato praticato e approvato da una cultura? I funzionari britannici che hanno messo fuori legge il sati sono moralmente degni di lode per aver imposto un modello esterno agli abitanti nativi dell’India e impedire loro di adeguarsi alle aspettative sociali? C'è una risposta giusta alla domanda se il sati sia moralmente accettabile o no?

Questo capitolo si occupa di una importante questione di metaetica. La metaetica è la branca dell'etica che si occupa della natura della moralità. Essa cerca di rispondere alla domanda: cos'è la moralità? Essa è oggettiva? Da dove proviene? Che relazione c'è tra i fatti morali, se esistono, e il mondo fisico con il quale interagiamo? Prima di capire come dovremmo essere e vivere, dobbiamo stabilire in primo luogo se esiste qualcosa come il modo in cui dovremmo essere e vivere. Una delle più importanti questioni di metaetica è se c'è una realtà morale vincolante indipendentemente dai nostri giudizi, opinioni e credenze e se ci sono fatti morali che siano necessari e universalmente veri. Forse i codici morali sono meramente relativi a gruppi di persone. Forse non c'è una morale oggettiva vera e vincolante al di fuori della cultura, del periodo storico e delle preferenze personali. La morale è oggettiva e universale? O è solo una questione di opinione e tradizione?

Realismo ed anti-realismo

Pensate a quella volta in cui siete stati in disaccordo con qualcuno riguardo la giusta cosa da fare. Forse era un amico, una persona di famiglia, una celebrità, uno scrittore o una figura politica. Può essere che abbiate sentito molto fortemente che X era ovviamente la cosa giusta da fare, il miglior modo di agire o semplicemente il male minore. La persona con cui eravate in disaccordo potrebbe aver sentito la stessa cosa e forse aveva presentato ragioni per la sua posizione. Entrambi avete fatto affermazioni riguardanti la moralità. Entrambi credevate che la vostra posizione era corretta o vera. Ma queste affermazioni riguardanti la moralità sono vere o false allo stesso modo in cui sono veri o falsi i fatti storici e matematici?

"George Washington è stato il tredicesimo presidente degli Stati Uniti d'America" è una affermazione storicamente falsa, perché George Washington non è stato il tredicesimo presidente degli Stati Uniti d'America. Perché questa affermazione è storicamente falsa? Perché va contro la realtà. La questione che si pone ora è se esiste una realtà simile per la morale. Ci sono fatti morali che restino veri indipendentemente da quello che ne pensiamo? Ci sono fatti morali che sono veri in virtù di qualche realtà morale indipendente dalla mente? Quelli che rispondono di sì rientrano nel campo del realismo morale. Quelli che dicono di no rientrano del campo dell'anti-realismo morale.

Il realismo morale è la posizione secondo la quale ci sono fatti riguardanti l'etica indipendenti dalla mente che sono veri e vincolanti anche se abbiamo convinzioni contrarie. Per esempio, il realista morale afferma che lo stupro sarebbe oggettivamente sbagliato anche se la maggioranza dei popoli e delle culture credesse il contrario – la verità "lo stupro è sbagliato" resta tale indipendentemente dalle nostre opinioni e giudizi riguardo allo stupro. I realisti sono in disaccordo riguardo a cosa fondi o costituisca la verità di questi fatti morali, ad esempio i comandi divini, un insieme di fatti necessari, la natura delle creature senzienti ecc. Tuttavia i realisti sostengono che questi fatti morali esistono indipendentemente dalle nostre opinioni o giudizi.

L'anti-realismo morale è semplicemente la negazione di queste tesi. Per gli anti-realisti, non esistono fatti riguardanti la morale indipendenti dalla mente; la moralità può essere costruita o è meramente relativa alla cultura. Questa seconda versione dell'anti-ralismo è la posizione chiamara relativismo morale ed è l'argomento di questo capitolo. Il relativismo morale, in senso lato, è la visione secondo la quale i codici morali sono relativi ai punti di vista delle persone che li abbracciano. Questo può significare molte cose, che saranno discusse di seguito, ma i relativisti tipicamente ritengono che le verità etiche siano relative alla cultura, che non ci sia un codice etico culturale che sia superiore agli altri e che non dovremmo giudicare altri codici etici come inferiori ai nostri. Questa posizione rientra nella categoria dell'anti-realismo perché nega che i fatti morali esistano indiopendentemente da noi e sostiene invece che la moralità è semplicemente un prodotto dei popoli e delle culture.

Il relativismo descrittivo

La forma più tenue e meno controversa di relativismo è il relativismo descrittivo, secondo il quale moralità e codici etici sono radicalmente diversi tra le culture, cosa che possiamo osservare. Ad esempio, alcune culture considerano immorale l'omosessualità mentre altre no; alcune culture pensano che la poligamia sia moralmente accettabile (e dovrebbe anche essere incoraggiata) mentre altre vedono la monogamia come l'ideale morale; alcune culture praticano la schiavitù mentre altre trovano la schiavitù moralmente ripugnante, ecc. Questa diversità etica non solo è osservata e documentata ora dagli antropologi culturali, ma anche scrittori antichi come Erodoto e alcuni scettici dell'antica Grecia hanno riconosciuto i modi diversi in cui le culture si sono comportate rigiuado a matrimoni, sepolture, disciplina militare e partecipazione sociale. Coloro che aderiscono al relativismo meramente descrittivo sostengono che le regole morali sono evidentemente dissimili tra le culture. Per alcuni relativisti questo suggerisce la falsità dell'oggettività morale e ciò è usato come prova a favore di versioni più forti del relativismo. Non tutti i relativisti sostengono che il relativismo descrittivo sia una prova contro l'oggettività morale, ma il relativismo spesso parte dalla verità del relativismo descrittivo e su queste basi fa affermazioni più forti sulla relatività morale. In altre parole, l'osservazione di codici morali differenti tra le culture non significa necessariamente che la moralità sia relativa, ma alcuni relativisti usano questo fatto antropologico come prova per le conclusioni più forti sul relativismo che esamineremo di seguito.

Il relativismo metaetico

L'antico scrittore Erodoto disse la frase famosa "La cultura è re"1, basata sulle sue osservazioni di diverse morali culturali (Storie, 3.28.4). Dopo aver osservato differenze radicali nei modi in cui culture diverse praticavano la religione, la sepoltura, l'organizzazione della famiglia e persino le preferenze alimentari, concluse che non esiste uno standard oltre le culture per prescrivere comportamenti buoni e cattivi. Quindi, la cultura è re.

A differenza del relativismo descrittivo, il relativismo metaetico fa questo tipo di affermazione più forte sulla natura della verità morale. Il relativismo metaetico afferma che le verità morali sono in realtà vere solo per specifici gruppi di persone. Ciò significa che se una credenza morale è vera dipende, o è relativamente a, il punto di vista della persona o della cultura che vi crede. Qualcuno a Singapore e qualcuno in Inghilterra possono entrambi dire "Fuori c'è il sole", ma è possibile che l'affermazione sia vera solo per uno di loro. In modo simile, il relativismo metaetico è la posizione secondo cui le affermazioni etiche sono vere solo rispetto al contesto in cui sono fatte. In altre parole, quando qualcuno afferma che una certa pratica X è morale, allora l'affermazione è vera se la sua cultura crede e vive come se X fosse morale. Ad esempio, se una cultura ritiene che avere relazioni sessuali prematrimoniali sia immorale, allora per quella cultura è vero che avere relazioni sessuali prematrimoniali è immorale. E per la cultura che crede che sia moralmente accettabile avere rapporti sessuali prematrimoniali, allora "avere rapporti sessuali prematrimoniali è immorale" è falso.

Si noti che questo è diverso dal dire: "Mentire potrebbe essere moralmente consentito in determinate situazioni, come quando un assassino ti chiede dove si nasconde la tua famiglia". Il relativismo metaetico non riguarda questo modo di determinare cosa è morale specifico della situaazione. Piuttosto dice che le credenze e le affermazioni morali sono vere o false rispetto alle culture o ai punti di vista in cui esistono.

Il relativismo normativo

Infine, esamineremo il tipo più forte di relativismo: il relativismo normativo. È il tipo più forte di relativismo perché va oltre il relativismo descrittivo e metaetico e fa un'affermazione ancora più grande. Secondo il relativismo normativo, nessuna persona o cultura dovrebbe giudicare inferiori i codici etici di altre culture, né alcuna cultura dovrebbe intervenire in un'altra cultura per impedirle di attuare le specificità del suo codice etico. Il relativista normativo dice che potremmo preferire la moralità specifica della nostra cultura e anche essere in grado di offrire ragioni per farlo, ma ciò non implica che la nostra sia superiore a quella degli altri. I relativisti normativi sostengono che poiché non esiste un punto di vista oggettivo e indipendente in base al quale valutare i codici etici, nessuna cultura può giustificare l'affermazione che la sua moralità è oggettivamente superiore.

A prima vista, questo potrebbe sembrarci problematico per un paio di motivi. Questo stesso principio del relativismo normativo è specifico della nostra cultura e non si applica necessariamente a tutte le culture. In altre parole, il fatto che la mia cultura accetti il relativismo normativonon implica che tutte le culture debbano attenersi allo stesso principio (del relativismo normativo) e non considerare la propria moralità superiore alle altre. Se il relativista normativo insiste sul fatto che questo principio è vero per tutte le culture (che nessuna cultura dovrebbe giudicare la moralità di altre culture o considerare la sua moralità superiore), allora ciò sembra un'ammissione di un valore universale vero per tutte le culture, indipendentemente dal fatto che lo credano vero. Si ricordi che uno dei motivi per cui i relativisti negano l'obiettività morale è l'implausibilità dell'esistenza di valori universali e fatti morali di cui possiamo venire a conoscenza. Se il relativista normativo crede che nessuna cultura debba criticare la moralità di un'altra cultura (e che questo principio valga per tutte le culture), allora questo è esattamente il tipo di fatto morale universale che il relativista nega.

Il problema della diversità morale

Come abbiamo visto nella sezione sul relativismo descrittivo, il problema della diversità morale è spesso usato come prova in difesa del relativismo. Il relativismo sembra offrire una migliore spiegazione del perché esiste tanto disaccordo morale nel mondo. I disaccordi morali tendono ad essere osservati più profondamente tra culture che all'interno delle culture. Ad esempio, il relativista potrebbe sottolineare che le culture non sono d'accordo sulla moralità dell'omosessualità: la pratica omosessuale è vietata in alcuni paesi ed è persino punibile con la morte in alcuni (Bearak e Cameron 2016). Forse un esempio più chiaro è quello del controllo delle nascite. Mentre alcuni paesi hanno reso illegale il controllo artificiale delle nascite, il 92% degli americani pensa che il controllo delle nascite sia moralmente accettabile e la maggior parte delle nazioni occidentali ha legalizzato la maggior parte dei metodi di controllo delle nascite (Gallup 2019; Kirk, et al. 2013). Questo sembra essere un punto a favore del relativismo, perché se la moralità è relativa alle culture, allora ci aspetteremmo che i disaccordi morali siano più evidenti e profondi quando si confrontano i codici etici di culture diverse. Più diverse sono le culture, più diversi sono i codici etici.

Il realista morale che sostiene che esistono verità oggettive sui valori ha due possibili risposte al problema del disaccordo morale. La prima risposta è mettere in discussione la portata e la profondità del disaccordo morale tra le culture. Alcuni realisti sostengono che le differenze tra le moralità nelle culture siano dovute più a differenze nella conoscenza del mondo che a un effettivo disaccordo morale. Ad esempio, si immagini una cultura che pratichi il senicidio: l'uccisione autorizzata degli anziani. Quando un individuo del gruppo raggiunge i cinquant'anni, ci si aspetta che subisca un cerimoniale delitto d'onore. In superficie, questa pratica sembra scontrarsi con la sensibilità morale e le intuizioni di persone che non soo coinvolte questa pratica.

Ma supponiamo che si apprendano alcune nuove informazioni, che questo gruppo pratichi il senicidio a causa delle sue particolari opinioni sull'aldilà. Credono che si viva nell'aldilà con lo stesso corpo con cui si è morti. Per costruire capanne, trovare cibo e allevare una famiglia nell'aldilà, allora, non bisogna essere morti ad un'età tanto avanzata da impedire che il proprio corpo serva a queste cose. Per questo motivo, i membri del gruppo si assicurano che i loro anziani saranno in grado di superare con successo le sfide dell'aldilà ponendo fine alla loro vita prima che i loro corpi diventino decrepiti.

Ora la loro pratica del senicidio appare sostenuta dai valori della cura e della compassione per gli anziani. La maggior parte delle persone potrebbe essere inorridita da una tale pratica, ma il disaccordo qui non è di valori e morali, ma di fatti riguardanti il mondo. Coloro che inorridiscono potrebbero non pensare che gli anziani vivano nell'aldilà con gli stessi corpi con cui sono morti. Se lo facessero, potrebbero non trovare questa pratica così discutibile. L'oggettivista potrebbe quindi sostenere che molte delle presunte differenze morali che osserviamo tra le culture sono più simili a questo caso in cui il disaccordo riguarda fatti non morali piuttosto che fatti morali.

La seconda risposta dell'oggettivista è quella di mettere in discussione l'assunto principale fatto dal relativista quando argomenta partendo dal problema della diversità morale. L'argomento del relativista contro l'obiettività morale si articola in due fasi: in primo luogo, presume che se ci fosse una moralità oggettiva, allora non ci sarebbe tale diversità morale e, in secondo luogo, rifiuta l'obiettività morale a causa della presenza di diversità morale. Ma perché dovremmo concedere questa prima ipotesi? Perché dovremmo presumere che se la moralità fosse oggettiva le persone non saranno in disaccordo?

Supponiamo che io dia ai miei studenti un'equazione di secondo grado da risolvere e che tutti trovino risposte diverse. La presenza di molte risposte implica che non ci sia una risposta giusta? Ovviamente no. In matematica c'è spesso una risposta corretta a un problema indipendentemente dal fatto che l'abbiamo capito o meno. Se la moralità funziona come la matematica in questo modo, allora ciò potrebbe mostrarci che le risposte morali corrette sono difficili da ottenere, ma certamente non mostra che non esiste una risposta giusta. L'assunto del relativista che non ci sarebbe diversità morale se l'obiettività morale fosse vera è palesemente falso.

Obiezioni al relativismo

Relativo a chi?

Una delle difficoltà del relativismo morale in generale è rispondere alla domanda su cosa sia una cultura o cosa considerare quale insieme di persone considerare adeguato affinché la moralità possa essere posta in relazione con esso o considerata da esso dipendente. Un villaggio è una popolazione abbastanza numerosa da avere un proprio codice etico valido? O la moralità è solo relativa ai governi nazionali e alle leggi da essi stabilite? Magari il soggettivismo morale è la forma corretta di relativismo, e la moralità si riduce ai giudizi degli individui e ogni singolo soggetto è sufficiente per formare una comunità morale con un codice etico.

Questo è un problema serio per il relativismo perché il concetto di cultura è così vago e mal definito che diventa quasi inutile per le discussioni etiche. Si considera l'esempio del movimento abolizionista negli Stati Uniti prima dell'abolizione della schiavitù: era sbagliato per un gruppo di persone in America avere opinioni contro la schiavitù, dato che la maggior parte del paese era a favore della schiavitù e delle leggi rispecchiava tali convinzioni? È sbagliato che gruppi minoritari di altre nazioni abbiano opinioni contrarie all'opinione popolare e al diritto scritto? Se il relativismo metaetico è vero, allora un'affermazione morale è vera se si accorda con la visione morale della cultura e falsa se non lo è. Ciò significherebbe che gli abolizionisti avevano una falsa visione morale perché si discostava dalla visione della cultura più ampia.

Forse il relativista può rispondere che il movimento abolizionista era abbastanza grande da essere considerato una cultura, ed è quindi una posizione morale legittima anche se differiva dall'opinione della maggioranza in quel paese. Ma questo spinge semplicemente la domanda indietro di un passo: se gli abolizionisti contassero solo cento membri, basterebbe questo per formare una cultura? E se ce ne fossero solo venti? Dove se ce ne fossero solo due? Uno? Su quali basi il relativista definisce “cultura” per renderla significativa per la discussione etica?

Alcune cose sembrano semplicemente sbagliate

Le risposte più comuni al relativismo si presentano sotto forma di quella che viene chiamata reductio ad absurdum, una forma di argomentazione intesa a confutare un punto di vista mostrandoci le conclusioni difficili o assurde (da cui il nome) cui il punto di vista a cui si risponde porterebbe. Se le conseguenze sono sufficientemente controintuitive o ridicole, allora siamo giustificati a respingere l'opinione in quanto falsa. Ad esempio, se sostenessi che ogni persona dovrebbe essere un medico a tempo pieno, potresti rispondere che se tutti fossero un medico a tempo pieno, allora non ci sarebbero politici a tempo pieno, vigili del fuoco, agenti di polizia, insegnanti, operatori umanitari, costruttori, artisti, ecc. Non potremmo avere una società funzionante se la mia posizione fosse vera. Abbiamo bisogno di qualcosa di più di semplici medici a tempo pieno per avere una società coerente. Quindi, la mia posizione porta a conseguenze assurde, ed è certamente falsa! La prossima sezione esaminerà tre grandi problemi che il relativismo deve affrontare.

Se il relativismo è vero, allora è difficile evitare la conclusione che alcuni comportamenti ovviamente sbagliati siano in realtà moralmente accettabili semplicemente perché alcune culture li praticano. La maggior parte delle persone oggi pensa che sia davvero moralmente sbagliato bruciare le vedove sulle pire funebri anche se a un certo punto ciò è stato praticato da un folto gruppo di persone. La posizione del relativista, tuttavia, lo impegna a riconoscere che anche pratiche come il sati, le mutilazioni genitali femminili, l'infanticidio e la schiavitù sono moralmente accettabili per le culture che non le vedono come immorali. E poiché il relativista nega che ci siano morali o valori oggettivi che valgono universalmente, allora non esiste uno standard indipendente in base al quale valutare comportamenti e codici etici.

Alcuni relativisti, come David Wong (2009), colgono la forza di questo problema e cercano di aggirarlo ammettendo che alcune moralità sono superiori perché soddisfano meglio i bisogni delle persone che sono costanti in tutte le culture. Tuttavia, questo tentativo di salvare il relativismo sembra minare il relativismo stesso. Riconoscendo che alcune moralità sono superiori perché svolgono un lavoro migliore nell'aiutare gli esseri umani a prosperare, il relativista ammette che esiste almeno un fatto morale che è vero indipendente dalla cultura o dal punto di vista, vale a dire che la prosperità e il benessere umani sono buoni e dovremmo mirare a massimizzarli.

Se il relativista pensa che questo fatto sia vero indipendentemente da ciò che qualcuno crede al riguardo, e se le culture la cui moralità consente meglio la prosperità e il benessere umano sono superiori alle moralità o alle culture che impediscono la prosperità e il benessere umano, allora questa ammissione sgonfia la posizione relativista. Riconoscere che alcune moralità sono oggettivamente migliori di altre presuppone che esista uno standard indipendente o un insieme di fatti in base ai quali possiamo giudicare moralità e codici etici. Una volta presa in considerazione l'ammissione di alcune condizioni indipendenti, sembra che non stiamo più pensando in modo relativistico ma oggettivo.

Relativismo e tolleranza

Quest'ultimo punto si collega ad un altro argomento avanzato a favore del relativismo, ovvero che esso promuove la tolleranza. Il relativista vuole che affrontiamo il tema dell'etica con umiltà e non ci affrettiamo a condannare come immorali comportamenti diversi dai nostri. L'idea è che se riconosciamo che il codice etico di una cultura non è superiore a un altro, allora la nostra capacità di praticare la tolleranza aumenterà naturalmente, poiché tutte le morali sono uguali. Il relativismo, si sostiene, rende ingiustificata la superiorità morale.

Per quanto nobile possa sembrare, questa posizione deve affrontare lo stesso problema di cui abbiamo discusso in precedenza: se tutte le moralità sono uguali, allora perché dovremmo pensare che la tolleranza sia un valore universale? Se il relativismo è vero, allora nessun codice etico è superiore, quindi perché dovremmo pensare che un codice etico che promuova la tolleranza sia migliore del codice etico che ignora la tolleranza? Sostenendo che dovremmo preferire il relativismo sulla base del fatto che ci aiuta meglio a promuovere e giustificare la tolleranza, allora il relativista ha ammesso l'esistenza di almeno un valore universale in base al quale tutte le morali possono essere giudicate, vale a dire la tolleranza. La presenza di questo valore universale -- questo fatto oggettivo riguardo al modo in cui dobbiamo vivere e comportarci -- mina il relativismo stesso, poiché ammette che esiste almeno un valore che non è relativo.

Inoltre, la tolleranza è spesso una reazione appropriata all'interazione con posizioni, convinzioni e comportamenti diversi dai nostri. Ma alcuni comportamenti e punti di vista morali non sono degni di tolleranza? Sicuramente è opportuno essere intolleranti nei confronti degli abusi sui minori, dell'indottrinamento, della schiavitù, della violenza insensata, dell'oppressione dei vulnerabili, ecc. Mentre la tolleranza è ovviamente appropriata e persino necessaria in alcune situazioni, l'intolleranza, e persino l'indignazione e l'oltraggio morale, sono certamente appropriati e giustificati davanti al male.

Nessuno spazio per la riforma sociale e il progresso

Una delle obiezioni più forti al relativismo è l'idea che se il relativismo è vero, allora non può esistere alcuna riforma sociale o progresso morale. Se il codice etico di ogni cultura è ugualmente buono e giusto, allora quando un paese cambia il suo codice etico da favorevole a contrario alla schiavitù, ciò è solo un cambiamento e non un miglioramento. Il miglioramento e il progresso morali richiedono che ci sia qualche standard verso il quale una società o un codice etico si stanno avvicinando; implicano anche che la morale successiva sia migliore della morale precedente, ma ancora una volta questo non si può dire se il relativismo è vero.

Quando gli Stati Uniti hanno abolito la schiavitù e la segregazione e hanno concesso alle donne e alle minoranze il diritto di voto, il loro codice etico ha subito un cambiamento. Ma dire che ha subito un miglioramento richiede di dire che rendere schiavi gli afroamericani, separare i bianchi dai neri e impedire alle donne e alle minoranze di votare sono oggettivamente peggio, moralmente parlando, dei loro opposti. Il relativismo non può sostenere coerentemente una tale posizione perché il relativismo implica esattamente l'opposto, vale a dire che non ci sono standard oggettivi per la moralità e la moralità è relativa alle comunità. Se una comunità decide di voler approvare X e poi decide di condannare moralmente X, allora entrambe le morali sono uguali. Nessuna morale è superiore a un'altra.

Questo sembra un altro rospo da ingoiare. Il relativismo implica che certe istanze di evidente miglioramento morale sono semplicemente istanze di cambiamento morale piuttosto che di progresso morale. Il lavoro di William Wilberforce per porre fine alla tratta degli schiavi nell'impero britannico, la vita e il martirio di Martin Luther King Jr. dedicati a sostenere l'uguaglianza e ad eliminare il razzismo, e gli innumerevoli altri esempi di persone morali che sono state in grado di vedere oltre la cultura, la legge e il costume accettato per riconoscere le verità morali che vengono sepolte o offuscate nel tempo, hanno davvero contribuito al progresso morale. Dire il contrario sembra fortemente controintuitivo.

Conclusione

Gran parte del relativismo sposato dalla gente comune ha mirabilmente le sue radici nelle virtù della tolleranza verso i punti di vista opposti e dell'umiltà sulle proprie posizioni, e in questo senso può essere apprezzato. Tuttavia, questo tipo di relativismo è spesso approvato senza l'appropriato livello di valutazione critica che inevitabilmente mostra l'incoerenza, l'invivibilità e persino le conseguenze immorali del relativismo. Tali conseguenze includono:

  • Il progresso morale è impossibile.
  • Certi comportamenti ovviamente immorali come la schiavitù e l'oppressione delle donne e delle minoranze sono moralmente accettabili semplicemente perché godono dell'accettazione di una cultura.

È per queste ragioni, tra le altre, che secondo un sondaggio del 2009 solo il 27,7% dei filosofi professionisti sono anti-realisti e solo una piccola parte di loro approvano il relativismo sull'etica (Bourget e Chalmers 2014, 34). Il relativismo si scontra con molto di ciò che sembra essere fondamentale per l'esperienza umana. Rabbrividiamo quando ricordiamo le atrocità della schiavitù americana, l'Olocausto e lo stupro di Nanchino. Vediamo l'erroneità di queste atrocità come vediamo la giustezza di 2 + 2 = 4. Il relativismo soffre di diversi problemi importanti e questo dovrebbe farci dubitare della sua capacità di spiegare la natura della moralità.

Referimenti bibliografici

Bearak M., Cameron D., “Here are the 10 Countries where Homosexuality may be Punished by Death.” The Washington Post. 16 giugno 2026. Url: https://www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2016/06/13/here-are-the-10-countries-where-homosexuality-may-be-punished-by-death-2/?noredirect=on&utm_term=.d92923f8861d

Bourget D., Chalmers D. J.,. “What Do Philosophers Believe?” Philosophical Studies 170(3), 2014, pp. 465-500. Url: https://philpapers.org/rec/BOUWDP

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Altre letture

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Note

1 Nella traduzione italiana il passo è reso con "la consuetudine è regina di tutte le cose" (Erodoto 2013). (N.d.T.)