Byung-Chul Han. Informazioni sul copyright non disponibili.

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Nato a Seul nel 1959, Byung-Chul Han si è trasferito in Germania negli anni Ottanta per studiare filosofia. Insegna presso la Universität der Künste di Berlino. Nei suoi libri brevi, scritti con una chiarezza che ne favorisce la diffusione, sviluppa una analisi fortemente critica della società neoliberale.

1. L’epoca della stanchezza

Nella sua opera principale, La società della stanchezza, Han caratterizza quella attuale come un’epoca post-immunologica. Il Novecento era spaventato dal virus, dal corpo esterno che ci attacca e provoca la malattia, e dal quale occorre difendersi immunizzandosi; l’equivalente umano è lo straniero, il migrante, vissuto come una minaccia e dunque rifiutato. In una società globalizzata non esiste in realtà più nessuna reale alterità, ma al massimo la differenza, che non suscita alcun rigetto. Le malattie della nostra epoca non sono virali, ma neuronali: la depressione in primo luogo, ma anche la sindrome da burnout e il deficit di attenzione. Per comprendere la causa occorre considerare una seconda differenza tra la nostra società e quella novecentesca. Michel Foucault ha descritto la società moderna come una società disciplinare, una società nella quale i singoli sono costantemente controllati e sottoposti a qualche forma di divieto, e i cui luoghi significativi sono istituzioni come il carcere, il manicomio e l’ospedale. Quella attuale è una società della prestazione (Leistungsgesellschaf), in cui i soggetti non sono più sottoposti ad alcun divieto, sono assolutamente liberi e padroni di sé stessi. Questa libertà è usata tuttavia per sottomettere sé stessi agli imperativi sociali della produzione e della crescita. In altri termini, oggi non si è sfruttati da un padrone esterno, ma ci si schiaccia da soli, imponendosi ritmi di produttività sempre più serrati, fino a quando essi non sono più sostenibili e subentra la crisi depressiva. La società attuale, per Han, ha bandito il negativo; il suo problema è un eccesso di positività. L’imperativo è quello di dare di più, produrre il massimo, essere sempre efficienti e positivi, sottoponendosi a una frenesia lavorativa che tra l’altro, richiedendo attenzione costante ad un ambiente iper-stimolante, rende impossibile quella contemplazione che è stata fondamentale per la civiltà occidentale e che ha consentito la nascita stessa della filosofia.

Il soggetto delle società attuali è dunque un soggetto dopato, che sottopone il suo corpo e la sua mente ad uno sforzo eccessivo per non restare indietro ed essere espulso dal sistema. Ma questo stesso sforzo genera una stanchezza che non è altro che esaurimento, impossibilità di fare che nasce dalla frenesia dell’azione.

2. La società dell’Uguale

Elemento fondamentale della società attuale, insieme al dinamismo del mondo del lavoro, è la pervasività della dimensione digitale. Per Han ciò che facciamo in Internet, soprattutto sui social network, è caratterizzato dalla medesima mancanza di una vera alterità. Se un tempo l’altro poteva prendere la forma minacciosa del nemico o del diverso, nella società attuale “si accumulano amici e follower senza mai incontrare veramente l’Altro (L'espulsione dell'altro, p. 9). Nel mondo digitale scompaiono le distanze, la differenza stessa tra vicino e lontano smette di avere senso; tutto è ugualmente vicino e a portata di mano. Non c’è più lontananza, oscurità, mistero. Tutto è Uguale. Ne è trasformato anche il sesso, che è la scoperta del corpo dell’altro. Nell’era digitale prevale la pornografia, ossia l’esibizione di corpi privi di qualsiasi mistero, impegnati in atti meccanici ripetitivi e uguali a sé stessi.

La mancanza di distanze ha conseguenze notevoli sui rapporti umani. Nel libro Nello sciame. Visioni del digitale Han osserva che rispetto indica il distogliere lo sguardo da qualcuno; è esperienza comune che il fissare lo sguardo su qualcuno sia considerato irrispettoso. Ma nella rete Internet invece lo sguardo degli altri su di noi è costantemente fisso. In ogni istante siamo esposti con la nostra immagine. Di qui la violenza che scorre attraverso le shitstorm, con i quali l’odio della società digitale si libera incontrollata su un singolo fino a distruggerlo psicologicamente.

Nella società globalizzata e neoliberista il mondo diventa un immenso centro commerciale da cui è bandita qualsiasi forma di negatività. Gli individui, ridotti a macchine, non hanno che due possibilità, essendo eliminata la possibilità stessa del conflitto: o funzionare secondo le regole del sistema, o rinunciare. Il selfie e i tagli che si autoinfliggono molti adolescenti sono manifestazioni di queste due possibilità complementari. Da un lato un soggetto che rappresentano sé stessi secondo l’ideologia della positività, dall’altro l’atto disperato di chi sente di “non aver sensazione del proprio essere” (ivi, p. 35).

L’eccesso di positività crea il suo opposto. L’ipertrofia della comunicazione fa sì che non si riesca davvero a comunicare, così come l’eccessiva esposizione all’altro attraverso i social network fa tramontare la capacità di guardare realmente l’altro. La socialità si sposta sempre più in Internet, ma prende forme profondamente alienanti. “Internet – scrive Han – non si manifesta oggi come uno spazio di azione condivisa e comunicativa. Si riduce a vetrina dell’io in cui si fa soprattutto pubblicità a se stessi” (ivi, p. 98).

3. Lo sciame e lo psicopotere

La dimensione digitale struttura la nostra vita collettiva in modo diverso rispetto al passato. Non siamo più nella società di massa, ma nella società dello sciame digitale. La massa è un insieme di persone che si fondono e acquistano una sorta di anima comune; nella società attuale invece ognuno resta sé stesso, non costituisce davvero un Noi. Lo sciame non si raccoglie negli spazi fisici della folla, come le piazze o gli stadi, ma riunisce persone che sono dietro a un pc o a uno smartphone, ognuno identificato da un suo profilo specifico sui social network. Le masse hanno una direzione, una ideologia ed esprimono una voce, mentre lo sciame non esprime che il frastuono dello shitstorm.

Questo cambiamento ha conseguenze importanti anche per la politica. Se la struttura sociale/asociale dominante è lo sciame, pensare ancora in termini di classi sociali o di lotta di classe è anacronistico. Lo sciame non ha più alcuna ideologia, alcuna idea forte che esprima un Noi. La stessa possibilità di un discorso pubblico, essenziale per una democrazia autentica, è erosa dalle dinamiche dell’interazione digitale, che portano alla semplice polarizzazione delle prese di posizione, alla partecipazione intesa come like ad un post, più che come confronto. Se si considera che questo soggetto digitale per il fatto di essere su Internet lascia una quantità di dati su sé stesso che sono costantemente usati per manipolarlo e orientale le sue scelte, si ha il quadro delle trasformazioni profonde che sono avvenute nella pratica del potere.

In Psicopolitica (2014) Han torna a confrontarsi con Foucault. Il grande filosofo francese ha teorizzato la biopolitica, ma non è riuscito a cogliere la sua trasformazione nell’epoca neoliberale. Il potere biopolitico descritto da Foucault si esercita sul corpo e mira a governarne le funzioni (natalità e mortalità, salute, durata della vita) al fine di adattarle alle necessità della produzione. Ora invece c’è bisogno di intervenire sulla psiche. Il biopotere diventa psicopotere: ha bisogno di agire a livello psichico per ottenere una conversione integrale agli imperativi produttivi. Le stesse tecnologie del sé analizzate da Foucault ne L’ermeneutica del soggetto hanno oggi subito una trasformazione. Se nell’antichità il soggetto agiva su sé stesso per ottenere il pieno dominio di sé, oggi lo fa per adattarsi pienamente al mondo del lavoro ed alle esigenze del sistema. Il dominio di sé non è più una pratica di libertà, ma uno strumento di auto-oppressione.

4. Diventare idioti

Come uscire da un sistema così sottilmente oppressivo? Per Han è da ricercare in un’azione politica collettiva, ma in una conversione individuale. Si tratta, scrive Han in Psicopolitica, di diventare idioti in senso etimologico. Idiota è colui che ha un mondo suo, che non partecipa al mondo comune. In una società iperconnessa, essere idioti vuol dire essere non connessi, sottrarsi all’idolatria del positivo, sfuggire all’onnipresenza dello sguardo. In una società da cui è bandita ogni negatività, l’idiota invece accetta fino in fondo il negativo ed il vuoto, fino a trovare in questa stessa negatività la liberazione. Si tratta della via religiosa del buddhismo zen, che Han approfondisce nella Filosofia del buddhismo zen (2002). Il soggetto zen non cerca di salvare sé stesso in un mondo minaccioso, di preservare una sua interiorità; si abbandona invece al mondo, si svuota, accettando il vuoto dentro di sé, invece di combatterlo. E da questa accettazione del vuoto, da questo morire a sé stessi, emerge profondamente trasformato: “Questo singolare tipo di morte fa sorgere un sé privo di sé, un sé ricolmo di vastità” (Filosofia del buddhismo zen, p. 126).

5. Bibliografia minima

Opere di Byung-Chul Han

La società della stanchezza, nottetempo, Roma 2012.
Eros in agonia, nottetempo, Roma 2013.
La società della trasparenza, nottetempo, Roma 2014.
Nello sciame, nottetempo, Roma 2015.
Psicopolitica, nottetempo, Roma 2016.
L’espulsione dell’Altro, nottetempo, Roma 2017.
Filosofia del buddhismo zen, nottetempo, Roma 2018.
La salvezza del bello, nottetempo, Roma 2019.
Che cos’è il potere?, nottetempo, Roma 2019.
Topologia della violenza, nottetempo, Roma 2020.
La scomparsa dei riti, nottetempo, Roma 2021.
Sano intrattenimento, nottetempo, Roma 2021.
Elogio della terra, nottetempo, Roma 2022.
Le non-cose, Einaudi, Torino 2022.

Focus

 L’uscita a destra di Byung-Chul Han

 

Testo di Antonio Vigilante. Licenza CC BY 4.0 International.